Era un’ex bambina normopeso, una nuotatrice professionista che amava gareggiare, tanto da arrivare a fare lo stretto di Messina a nuoto con la squadra civile delle Fiamme oro. Allenarsi però non era facile, anche perché l’allenatore aveva la brutta abitudine di pesarla, come tutti gli altri, una volta a settimana, una pratica che “secondo me ha dato il via ai disturbi alimentari di cui avrei presto sofferto”. “Ci inventavamo qualsiasi cosa prima di salire su quella bilancia, ad esempio avevamo scoperto che con in capelli asciutti si perdeva qualche grammo”, racconta Angela Ferracci, 49 anni, presidente del Comitato italiano per i diritti delle persone affette da obesità e disturbi alimentari, 10 ottobre, giornata della sensibilizzazione per prevenzione dell’obesità – “Obesity Day“ – Angela offre ai lettori la sua storia. Che più di mille ricerche o pareri di esperti aiuta a capire cosa sia davvero l’obesità e cosa può realmente contrastarla.
“Le cose cambiano quando capisci che puoi mangiare tutto il cibo del mondo ma i tuoi problemi restano identici”
Le prime difficoltà arrivano per Angela dopo aver smesso lo sport agonistico, intorno ai quindici anni, quando aveva un peso perfetto. Una depressione strisciante di fronte alle giornate improvvisamente vuote, la ribellione verso l’alimentazione tradizionale a favore dei fast food che proprio allora cominciavano a diffondersi ovunque: così a 18 anni si ritrova a pesare 76 chili, a 20 è già sui 95 fino a toccare il suo picco – 165 – a 34 anni. Angela continua a studiare, a lavorare in vari studi legali e notarili, più avanti apre un suo centro di servizi legali ai Castelli in provincia di Roma, dove abita. Ma il suo impegno principale sta nella lettura e nella ricerca spasmodica di modi per dimagrire, consoni al suo modo di essere. “Nella sfortuna ho avuto almeno la fortuna di avere un corpo muscoloso, quindi riuscivo comunque a muovermi, a quel peso si respira male e a volte si è obbligati a stare quasi immobili”. Come è stato possibile arrivare a pesare tanto? “Quando ci si trova di fronte a un grande obeso”, risponde, “tutti pensano a qualche disfunzione. In verità nella maggior parte dei casi non è così. Io sono il classico individuo dai ‘geni risparmiatori’, se non sto attenta immagazzino più degli altri, punto. Mi servono massimo 1400 calorie, il resto si accumula. A questo poi si sono aggiunte la depressione e lo sguardo cattivo e assurdo degli altri: vivere in borgata a Roma è difficile, tutti ridono, ti dicono ‘come ti sei ridotta’, ‘se dimagrissi 40 chili forse ci verrei con te’. Ma la causa principale dell’aumento di peso è stato un enorme squilibrio emotivo, l’incapacità di gestire qualunque cosa della mia vita se non attraverso il cibo. Così si può arrivare a 250 chili, io ne ho conosciute di persone così. E, ripeto, non è la tiroide che non funziona, ma lo stress incontrollato, il cibo che diventa al pari di una droga. Le cose possono cambiare solo quando capisci che puoi mangiare tutto il cibo del mondo ma i tuoi problemi restano identici”.
Aumenta lo stigma, aumenta il peso
Nella sua vita Angela ha fatto vari ricoveri per obesità, in reparti dove curano anche anoressia e bulimia. Ma proprio dopo aver sperimentato queste cliniche decide di fondare il CIDO. “Nei centri cosiddetti specializzati fanno fare un po’ di dieta, un po’ di ginnastica, un po’ di psicoterapia. Ma il problema fondamentale dell’obesità è che la maggior parte delle persone, i parenti ma anche gli stessi professionisti, non la considerano come una malattia grave. E questo porta alla colpevolizzazione di chi è obeso. Io sono convinta che i medici debbano essere fermi e anche severi, ma che soprattutto debbano avere rispetto verso di noi, perché se tu mi consideri una merda, mi passi il termine, o mi dici ‘veda io con una come lei non uscirei’, mi fai solo del male. Per non parlare degli amici, quelli che non ti invitano a mangiare fuori ‘perché mi sento in colpa se poi ingrassi’ con l’unica conseguenza che tu, da sola, vai al supermercato e te ne compri dieci di pizze. Più un obeso si sente discriminato più mangia, per questo lo scopo del CIDO era quello di creare un movimento di opinione contro la stigmatizzazione degli obesi e la discriminazione basata sull’aspetto”.
Quell’obbligo di comprare due biglietti quando si vola
A un certo punto Angela, nel 2007, ha un’emorragia cerebrale. Tutti cominciano ad accusarla sostenendo che fosse causata dall’obesità, invece le scoprono una malattia molto rara, la Moyamoya, malformazione cerebrovascolare della carotide di origine genetica che nulla ha a che fare col peso. All’epoca non c’era una risonanza magnetica aperta e in quelle chiuse Angela non entrava. Perché “essere obesi significa anche combattere contro ostacoli di questo tipo, come il sedile del Frecciarossa che dal debutto è passato da 60 a 44 centimetri, stanno scomodi anche i magri”. Oppure essere costretti a comprare due posti quando si vola in aereo. “Dicono che costiamo, che pesiamo sulla collettività, ma anche un malato di sclerosi multipla pesa, eppure nessuno lo colpevolizza”. E arriva il capitolo della vita sessuale-sentimentale: “Mi fanno un po’ schifo, ammetto, quelle donne che scrivono che le ‘ciccione lo fanno meglio’, così come mi repellono i perversi che dicono ‘voglio vedere com’è fare l’amore con una cicciona’. Io ho sempre difeso la mia dignità e infatti ho incontrato un uomo meraviglioso, uno psicoterapeuta che si occupa anche di disturbi alimentari – ironia della sorte – e che oggi è mio marito, nonostante tutti fossero stupiti che un normopeso si mettesse con un’obesa, agli occhi della gente sembra impossibile”.
Nessuno “orgoglio obeso”, ma difesa della propria dignità
Oggi Angela vive a Forlì, pesa 130 chili ma sta piano piano dimagrendo grazie a una dieta salutare e due cagnolini che la costringono a muoversi. Alla domanda se ha rimpianti, risponde che ne ha uno solo, “quello di non aver creduto abbastanza in me e non essermi difesa ancora di più”. È fiera di aver fondato un’associazione unica in Italia, mentre all’estero gli obesi hanno numerosi centri di riferimento, anche se nota con sarcasmo e amarezza “che nessun professore ha voluto metterci la faccia” e che tanti obesi ancora si vergognano, non escono allo scoperto. Infine precisa: “Quando vedo bambini obesi mi viene tristezza, ritengo che la salute sia importantissima. Lungi da me, insomma, rivendicare l’orgoglio obeso, sarebbe la stessa cosa che essere orgogliosi di avere un cancro. Io non difendo i miei chili, io difendo la dignità della mia persona“. L’ultimo desiderio di Angela si avvererà tra poco, perché dopo un corso di formazione durato un anno e mezzo e dopo essere diventata, con il marito, “famiglia di sostegno”, riceverà un bambino in affido e poi forse in adozione. Per allenarsi ad essere mamma fa volontariato in una casa famiglia. “Sono appena uscita da lì”, conclude, ” e tutti i bambini mi hanno abbracciato”. Al loro sguardo Angela è solo una donna che porta sostegno e amore. Il resto lo vedono solo adulti deviati da una cultura dove il sovrappeso e l’obesità sono il male. E, soprattutto, conseguenza di sciatteria, incuria, mancanza di volontà e, ovviamente, infinita colpa.
(Pubblicato sul Fatto quotidiano, ottobre 2018).
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