Un tempo era il paese dei poveri bambini malnutriti, le cui immagini scioccavano l’opinione pubblica suscitando una sensazione di pietà. Oggi, invece, è un luogo di cui avere paura, quello da cui vengono masse di persone che non vogliamo e che trattiamo sempre di più con stizza, rabbia, odio. Eppure né la compassione né l’odio sono le giuste categorie con cui leggere un continente che non ha bisogno né di pietà né di rifiuto. Un continente di cui non sappiamo assolutamente nulla, tranne luoghi comuni e stereotipi che alimentano razzismo e intolleranza. E proprio per combattere una finta immagine dell’Africa, e le fake news che circolano su di essa, la Ong Amref, che opera in 35 paesi africani con oltre 160 progetti principalmente dedicati alla promozione della salute, ha lanciato ieri a Roma – con Pif e Giobbe Covatta – ha organizzato l’evento “Reframe Africa”, volto proprio a veicolare una nuova narrazione del continente e ribadire e consolidare la visione di un’Africa come “terra delle soluzioni” e non solo dei problemi, sensibilizzando il pubblico italiano sull’Africa come continente con potenzialità da sostenere.
Durante l’evento è stato lanciato decalogo “10 consigli per una corretta informazione sull’Africa”, parte della campagna “Non aiutateci per carità” (vedi video), scritto in collaborazione con Carta di Roma e redatto da Mambulu Ekustu, direttore della African Summer School, scuola che ha proprio l’obiettivo di formare persone e professionisti con una conoscenza dell’Africa corretta e approfondita. Ecco i dieci punti.
1. L’Africa non è un paese. È un continente con 54 Stati. Rispettare e rendere conto della complessità di un continente di 1,1 miliardi di abitanti è sicuramente difficile, ma stimolante. Sforzarsi sempre di contestualizzare il più possibile le informazioni quando si parla di Africa.
2. L’Africa non è povera Ecco il valore monetario delle sue ricchezze minerarie: 46.200 miliardi di dollari. A rivelarlo nel 2011 in un articolo del giornale “Les Afriques” è stato l’esperto congolese David Beylard. Con il 12% di questa somma il continente nero potrebbe da solo finanziare tutte le infrastrutture di cui ha bisogno. Sta provando a farlo cooperando anche con la Cina. Lo stereotipo della povertà africana impedisce di conoscere le diverse sfaccettature del cammino attuale e futuro dei Paesi di questo continente.
3. La cultura africana merita rispetto Conviene evitare di veicolare gli stereotipi che vogliono che, ad esempio, le religioni africane siano chiamate delle credenze, oppure le lingue africane, parlate da milioni di persone, siano considerate dei dialetti.
4. Colonialismo? Una breve parentesi della storia millenaria africana Dopo l’Egitto Antico, i popoli africani hanno creato altre grandi civiltà tra cui quello del Mali (1235 d.c – 16 secolo d.c.) dove, nel 1236, l’Imperatore Soundjatta Keita promulgò la cosiddetta prima Carta dei diritti dell’uomo, ovvero il “Kouroukan Fouga”. Conoscere la storia dell’Africa nella sua diversità e ampiezza temporale è un primo passo per migliorare il racconto del continente.
5. Raccontare le eccellenze africane è un buon rimedio contro gli stereotipi L’Africa non è solo immigrazione. In Africa non ci sono solo dittatori, corruzioni e malattia. La società civile africana è infatti sempre in movimento. Giovani e artisti esplodono di creatività anche se non sempre sostenuti dai governi locali. Nel luglio 2018 alcuni giovani artisti e responsabili dei movimenti civili di diversi paesi hanno lanciato in Senegal l’Università Popolare dell’impegno cittadino, nell’obiettivo di mobilitare i giovani e incoraggiarli a prendere in mano il destino dell’Africa.
6. Un freno all’eurocentrismo? La voce e le idee degli opinionisti africani Offrono commenti e analisi sulla base di una sensibilità di chi vive direttamente i fatti. Alcune grandi reti di comunicazione internazionale come la francese Tv5 o l’inglese Bbc, stanno infatti rinforzando le loro squadre di reporter ed analisti con professionisti africani scelti localmente.
7. Le immagini dei bambini africani non sono merci in vendita Le immagini dei bambini pubblicate per toccare la “pancia” spesso e volentieri violano le norme giornalistiche, in particolare la Carta di Treviso del 5/10/1990 che condanna questo tipo di comportamenti nel suo art. 7: “Nel caso di minori malati, feriti, svantaggiati o in difficoltà occorre porre particolare attenzione e sensibilità nella diffusione delle immagini e delle vicende al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi ad un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona”.
8. Difendiamo l’Africa dalle fake news Nel gennaio 2016 è stato ad esempio diffuso al livello internazionale, senza opportune verifiche, la falsa notizia secondo cui il governo eritreo avesse deciso di legalizzare la poligamia costringendo gli uomini di sposarsi almeno con due donne.
9. È possibile parlare di immigrazione con una rappresentazione diversificata degli stranieri Cinesi, giapponesi, coreani, indiani, africani arabi sono anche loro immigrati con ritratti “diversamente visibili”. Secondo dati Istat 2017, su 5.000.000 di stranieri presenti in Italia, gli africani subsahariani sono 400.000, cioè meno del 10% degli immigrati. Inoltre, esistono sempre di più dei neri italiani nati nel bel paese.
10. Afrodiscenti? Un altro modo di chiamare le “seconde generazioni” Negli ultimi anni è stato molto utilizzato “seconde generazioni” per denominare i giovani di origini straniere nati o cresciuti in Italia. Cresce anche l’utilizzo della combinazione “afro-italiani” per denominare i giovani neri di origine africana. All’interno delle comunità africane sta tuttavia affermandosi l’utilizzo del termine“afrodiscendente”. Si tratta solo di una lista provvisoria, per dare un’idea complessa e articolata, e meno disperata, dell’Africa, frenando l’intolleranza che si rivolge soprattutto agli immigrati di origine africana (che, come nota proprio il decalogo, sono meno del 10% degli immigrati eppure vengono notati molto di più). Responsabili delle fake news e degli stereotipi sull’Africa sono ovviamente anche i mezzi di comunicazione, che tanto più avrebbero bisogno di una “formazione” su questo continente, paese per paese, cultura per cultura, società per società. Per trasformare il terrore e il disprezzo in curiosità, amore, persino entusiasmo verso una diversità che poco, anzi nulla, c’entra con la nostra idea degli africani come vagabondi, nullafacenti, alcolizzati. È tutta un’altra storia.
(Pubblicato sul Fattoquotidiano.it del 20 settembre 2018)
Foto di Git Stephen Gitau per Canva