Restare offesi e feriti di fronte a un’azione negativa o a una critica nei nostri confronti? Non è una reazione inevitabile, anzi. Provare sentimenti di umiliazione, rancore, indignazione, collera e disperazione davanti a un’offesa non è affatto scontato né automatico, al contrario deriva da una decisione che spetta solo a noi. Lo sostiene, nell’utile e illuminante saggio Pronto soccorso per l’anima offesa (Urra editore), la psicoterapeuta tedesca Bärbel Wardetzki, secondo cui “la scelta tra offendersi e trovare una soluzione costruttiva” dipende solo da noi. E non si tratta di una scelta immune da conseguenze, perché la soddisfazione “di annientare l’avversario, di vederlo al tappeto o di mortificarlo almeno quanto lui ha mortificato noi non risolve il problema di fondo né guarisce le ferite”; né ci libera “dallo shock, dal senso di impotenza, dal dolore del disprezzo, dell’umiliazione e della svalorizzazione di cui siamo stati vittime”. Il fatto che tocchi a noi letteralmente “decidere” se sentirci offesi o meno, spiega Wardetzki, è una buona notizia: se da un lato ci costringe infatti ad assumerci la responsabilità dei nostri sentimenti, per questo sarebbe più corretto, nota la psicoterapeuta, dire “mi sento offeso da ciò che hai fatto”, dall’altro significa che “non siamo alla mercé delle umiliazioni”, che possiamo o meno “accettare o respingere l’attacco”. E, quindi, vivere in pace, senza rabbia né desiderio di vendetta.
Ecco sette modi per reagire agli affronti con filosofia e senza risentimenti
1. Abbandonate il ruolo della vittima e non assecondate la pur forte tentazione di giustificarvi: ogni offeso ha la possibilità di decidere se accettare la mortificazione oppure no. In questo modo vi renderete conto che potete difendervi dai colpi e che la vostra convinzione secondo cui gli altri hanno più potere e forza, oltre che il controllo della situazione, è falsa.
2. Meglio accantonare furia, sdegno e rancore: infatti l’ira, l’indignazione e l’atteggiamento accusatorio nei confronti degli altri, magari accompagnati da un desiderio di vendetta, sono spesso un modo per nascondere i sentimenti autentici e vitali che emergono quando ci si sente feriti. È più facile andare su tutte le furie che soffrire: ma così facendo, si mascherano il dolore e la rabbia costruttivi, rallentando il raggiungimento del benessere e rischiando anche disturbi psicosomatici dovuti a reazioni non elaborate.
3. Nelle situazioni di offesa la soddisfazione delle esigenze narcisistiche, l’essere cioè guardati, ascoltati, riconosciuti, capiti e tenuti in considerazione, svolge un ruolo centrale. Un modo per bloccare le reazioni di offesa sta dunque nel “circoscrivere attivamente ciò che può saziarvi” (magari mettendolo nero su bianco). Verificate anche che la vostra considerazione di voi stessi non sia particolarmente bassa, perché “i soggetti che già in partenza hanno un’autostima indebolita sono più inclini a offendersi”.
4. Ricordate che il sentirsi mortalmente feriti può dipendere anche dal fatto che l’offesa di oggi ha riaperto vecchie piaghe del passato, tanto che “ogni provocazione dal contenuto analogo ci colpisce proprio in quel punto”. In questo modo, però, si finisce per percepire l’interlocutore come il rappresentante di tutte le persone che ci hanno fatto torto in precedenza. Fate chiarezza, dunque, sulle ferite del passato e aspettate almeno un giorno e una notte prima di reagire.
5. Nelle relazioni di coppia, molte offese scaturiscono da problemi di distanza e di vicinanza, dal rapporto cioè tra desiderio di attaccamento e paura della dipendenza, tra desiderio di autonomia e paura dell’abbandono. Il fatto è che è più facile attribuirsi solo uno dei due poli, scaricando sul partner l’altro (ad esempio la paura dell’abbandono): questa divisione dei compiti, però, provoca una serie di conflitti e di possibili offese, che si possono evitare facendosi carico anche dell’altro polo e, quindi, diventando consapevoli della propria ambivalenza.
6. Nel momento in cui vi sentite offesi, è utile riconoscere il dolore psichico, anziché ignorarlo o dissimularlo. D’altronde il disturbo post traumatico da amarezza (“Post-Traumatic Embitterment Disorder) esiste e può insorgere nella vita di tutti dopo stress particolari. Se siete tristi, piangete pure: essere rifiutati è doloroso, e anche voi potete concedervi di star male.
7. A volte può capitare che siate voi a ricoprire il ruolo di chi offende e la reazione di chi si sente ferito può provocarvi sentimenti analoghi ai suoi. In questo caso la cosa migliore è allontanarsi un po’ dalla persona che si sente offesa, usando il distacco per provare a capire cosa abbia ferito l’interlocutore e in che misura siete responsabili. Verificate anche, però, che l’altro non vi abbia teso una trappola, perché spesso la suscettibilità è uno strumento di potere per manipolare gli altri. Sottraetevi a chi vi costringere a rivestire per forza i panni del persecutore perché la polarizzazione vittima/carnefici è sempre irrealistica e falsa.
D. Repubblica.it primo febbraio 2015
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