Emissioni: questa è la parola chiave da cui dipende il nostro futuro, anzi la nostra stessa sopravvivenza. Lo dicono le 545 pagine dello studio statunitense, studio che rientra nel National Climate Assessment (la valutazione sul clima richiesta dal Congresso americano ogni quattro anni), redatto da 13 agenzie federali che si occupano di cambiamento climatico e pubblicato ieri, anche se ancora sotto forma di bozza, dal “New York Times”, nel timore che Trump possa in qualche modo insabbiarne le conclusioni. Conclusioni che affermano con certezza che gli effetti del cambiamento climatico, di cui è causa sicura e diretta l’uomo, sono già reali, visto che le temperature medie negli Stati Uniti hanno toccato il loro livello più alto da 1.500 anni, con un aumento di 0.9 gradi dal 1880 al 2015 e che potrebbe arrivare, ma solo se si riducono radicalmente le emissioni, a 2 gradi centigradi entro la fine del secolo. Aumento oltre il quale lo scenario si farebbe catastrofico, con ondate di calore molto intense alternate a violente tempeste di pioggia, mentre il livello degli oceani, a causa del rapidissimo riscaldamento dell’Alaska e delle zone artiche, rischia di avere effetti tragici sulle zone costiere.Mentre tutto tace sia dalla Casa Bianca – colpevole della scelerata decisione di uscire dagli accordi di Parigi – che dalla governativa Environmental Protection Agency, alla cui direzione Trump ha messo un negazionista del legame tra cambiamento climatico ed emissioni, in Italia è partita da pochi giorni la consultazione pubblica avviata dal Ministero dell’Ambiente sulla prima stesura del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici, elaborato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, che terminerà in ottobre. “Abbiamo diviso l’Italia in macro aree che hanno risposte simili agli impatti del cambiamento climatico”, spiega Paola Mercogliano, studiosa del C.I.R.A, Italian Areospace Research Center e del CMCC, Centro-euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici. “E stabilito per ciascuna area delle priorità in termini di adattamento, suggerendo misure che gli attori politici dovrebbero mettere in pratica a livello locale”. Ma quali saranno le conseguenze concrete sulle nostre vite? Una risposta esatta, in questa estate angosciosamente torrida, purtroppo non c’è. Perché gli scienziati del clima lavorano appunto su modelli matematici che si basano su ipotesi di emissioni dei gas serra. Ma non sapendo effettivamente se queste ultime verranno ridotte o meno, non possono dare risposte certe, “anche se la tendenza all’aumento delle temperatura legata ai gas serra è chiarissima”, spiega Mercogliano. Uno scenario realistico – nel quale ci siano misure di contrasto, ma non radicali, alle emissioni, “insomma non spegniamo tutte le fabbriche ma neanche facciamo nulla” – prevede che nel periodo tra il 2020 e il 2050 le temperature in Italia subiranno un aumento di 1,5-2 gradi, le precipitazioni d’estate subiranno una diminuzione del 22 per cento (con picchi del 24 per cento al Sud), mentre i giorni con una temperatura massima superiore ai 29 gradi saranno 9 in più per ogni estate, e probabilmente 20 dal 2050 in poi. La pioggia aumenterà invece dell’8 per cento in autunno (11 per cento al sud), “il che vuol dire che “l’acqua va ottimizzata il più possibile nei mesi in cui c’è”. “Quello che possiamo vedere”, spiega a sua volta Silvio Gualdi, Direttore della Divisione “Climate Simulation and Prediction” del CMCC, “è che eventi considerati finora statisticamente estremi, cioè rari, stanno diventando sempre più frequenti e in futuro potrebbero diventare la normalità. Ma di nuovo tutto dipende dal tasso di emissioni di gas serra.” Siamo dunque costretti a subire le conseguenze di un riscaldamento inarrestabile, o possiamo fare qualcosa? “Assolutamente sì. Da un lato”, continua Silvio Gualdi, “servono politiche di adattamento, cioè di mitigazione, che cerchino di ridurre gli impatti che i cambiamenti hanno sul nostro organismo, ma anche sulle attività economiche, l’agricoltura, le foreste, gli ecosistemi in generale. Dall’altro, però, esiste purtroppo un livello di cambiamento più radicale che avrà dei costi difficili da sostenere, e non è un caso che oggi siano anche soggetti finanziari, come Bloomberg ad esempio, a fare pressioni sull’amministrazione Trump: hanno capito che il cambiamento climatico diventerà un problema economico serissimo e che cercare di recuperare a breve qualche voto sostenendo l’economia del carbone presenterà un conto salatissimo poi”. In conclusione si può parlare o no di probabile desertificazione dell’Italia e di possibili, angoscianti, migrazioni a causa del clima? “Più che di desertificazione”, chiarisce Paola Mercogliano, parlerei di tropicalizzazione del bacino del Mediterraneo, con tanta pioggia localizzata e assenza di pioggia. Quanto alle migrazioni, i cambiamenti climatici sono certamente un acceleratore di crisi, ma al momento soprattutto per i paesi di provenienza degli attuali migranti. Fondamentale, comunque, è aumentare i soldi per la ricerca, che oggi può dire anche in che modo le città andrebbero pianificate in relazione al clima”. “Sì, i soldi per la ricerca sono essenziali, in particolare per quella che si occupa di energie rinnovabili”, conclude Gualdi. “Per fortuna la comunità scientifica – che ha il compito non tanto di orientare direttamente ma di fornire tutte le informazioni corrette perché chi fa le scelte lo faccia orientato nel migliore dei modi – è ormai compatta nel ritenere che il cambiamento climatico sia un problema che va affrontato subito e seriamente. Negazionisti non ce ne sono, i pochi sparuti personaggi che ancora non credono all’aumento della temperatura sono fuori. Intanto, è già qualcosa”. Pubblicato sul Fatto quotidiano, 15 agosto 2019
Foto di Johannes Plenio