Basta con lo svezzamento uguale per tutti i lattanti, “fatto con lo stampino, neanche si trattasse di polli in batteria”: oggi è tempo di riconoscere la diversità di ogni bambino e procedere all’autosvezzamento, o meglio all’“Alimentazione Complementare a Richiesta (ACR)”. Lo sostiene, nel libro Autosvezzamento per tutti (con la prefazione del pediatra Lucio Piermarini), l’ingegnere appassionato di alimentazione e infanzia Andrea Re, che con sua moglie Gloria Conti cura il sito Autosvezzamento.it. La tesi di fondo dell’autosvezzamento è semplice e insieme rivoluzionaria: ogni bambino è in grado di svezzarsi da solo. Proprio come il pargoletto impara a gattonare, camminare, parlare da solo, anche il passaggio da un’alimentazione solo lattea a una solida fa parte delle tappe che tutti i bambini raggiungono, se li si lascia liberi di seguire i loro tempi. Nello svezzamento il vero protagonista è il bambino, mentre il genitore ha il compito di facilitare il bimbo. Questa rivoluzione si esprime anche nel linguaggio: non si dovrebbe dire “Tra poco (auto)svezzerò il mio bambino”, ma “tra poco mio figlio comincerà a svezzarsi”.
Voglia di assaggi e manine che si allungano: è il momento giusto
I segnali che evidenziano che il bimbo è pronto per passare ai cibi solidi sono assai facili da codificare: basta mettersi a tavola tutti assieme e attendere che nostro figlio mostri interesse per il gioco a cui giocano i grandi, ovvero mangiare. Se allunga la manina, se, insomma, vuole assaggiare anche lui. Il passo successivo è altrettanto semplice: l’unica cosa da fare, infatti, è… accontentarlo. Dando per scontato che la vostra dieta sia ragionevolmente varia e bilanciata, cioè ispirata alla piramide alimentare, basterà assecondarlo facendogli ciucciare/succhiare/manipolare quello per cui prova interesse: un fusillo di pasta, una strisciolina di pane, un pezzetto di carne. Piano piano il genitore, assieme al bambino, scoprirà quali sono i sapori e le consistenze preferite e anche il modo migliore di porgere il cibo, tenendo però sempre presente che i gusti nei bambini possono cambiare da un giorno all’altro. Il numero degli assaggi aumenterà, fino a diventare un vero e proprio pasto “con il mirabile risultato che un bel giorno scoprirete che il vostro bambino mangia normalmente con voi, ai vostri orari, le vostre stesse pietanze, con appetito e senza lasciare nulla perché è lui che lo chiede e voi che concedete, non il contrario”. “Nell’autosvezzamento i genitori sono responsabili per il cosa, il quando, e il dove si mangia” ci ricorda Re; “i bambini sono responsabili per il quanto e il se mangiare. Va tenuto presente, però che il quanto mangia non è poi così importante perché, ricordiamoci, che per i primi mesi il latte è la fonte principale di nutrimento; il cibo solido è solo un di più”. Lasciando libero il bambino di “spizzicare”, infatti, si noterà che la sua richiesta di latte (che non viene arbitrariamente tolto, sia esso materno o artificiale) diminuirà gradualmente con il passare del tempo.Ma che fine fa il concetto di gradualità, che le pappe sembrano portare con sé? Semplice: nell’autosvezzamento la gradualità c’è, ma è rappresentata dalla quantità. “Non si passa da porzioni intere di cibo liquido, semi-liquido, semi-solido e solido, ma a porzioni via via crescenti di cibi di consistenza e sapore sempre diversi”.
Ma quando iniziare? E quali cibi bisogna dare?
L’autosvezzamento, però, suscita numerosi dubbi tra i genitori: ad esempio, quando bisogna iniziare? E quali cibi dare esattamente? In realtà, gli esperti di alimentazione complementare spiegano che non esiste un mese esatto con cui partire, ma piuttosto alcune condizioni da osservare. In sostanza il bambino è pronto quando ha perso il riflesso di estrusione, ovvero non tira fuori la lingua quando qualcosa gli tocca il labbro facendogli così sputare quello che ha in bocca; quando riesce a star seduto da solo o quanto meno a tenere su la testa senza aiuto; quando mostra interesse per il cibo ed è capace di dire di no; quando sa coordinare occhi, mani e bocca in modo da guardare il cibo, prenderselo e metterselo in bocca; quando, infine, è capace di deglutire cibo solido. Quanto alla seconda domanda, secondo Re il concetto di cibo “sano” è assai vago e aperto a infinite discussioni. Meglio dunque parlare di cibo “sicuro” (e tutto ciò che mangiamo lo è, perché sottoposto a rigidi controlli) con la precauzione fondamentale di variare il più possibile gli alimenti così da avere una dieta sufficientemente bilanciata. Non c’è bisogno, insomma, di spendere una fortuna al supermercato biologico, meglio concentrarci su quello che ci piace, “senza sensi di colpa; basta ricordarci di variare”. Inoltre, all’inizio soprattutto, è meglio mettere a disposizione del bambino un boccone per volta, per evitare di farlo andare in confusione ponendogli troppe cose davanti; inoltre così facendo il genitore non avrà la pressione aggiunta di vedere il proprio figlio che non finisce tutto il cibo. “E questo vi assicuro è un vantaggio non da poco” conclude Re.
Il timore del soffocamento
Un’obiezione molto importante alla quale chi si occupa di autosvezzamento spesso si trova a rispondere è quella relativa al rischio di soffocamento. Ad essa gli esperti di alimentazione complementare rispondono anzitutto premettendo che “è normalissimo che ci siano colpi di tosse e conati: noi tutti possediamo il cosiddetto riflesso faringeo che è la risposta del nostro corpo contro il soffocamento”. In particolare, però, nei bambini questo riflesso è più marcato in quanto scatta più avanti rispetto a quanto non accada negli adulti. Per questo motivo è “possibile che un bambino trovi difficoltà con consistenze semiliquide, quali pastine molto piccole, in quanto pensa di dover ‘bere’ quello che gli viene porto, ma quando invece la lingua avverte che c’è qualcosa di più solido che non si aspettava, scatta il conato; per contro lo stesso bambino può non avere problemi, ad esempio, con un fusillo perché in quel caso sa fin dall’inizio che in bocca c’è qualcosa di solido”. In altre parole, è importante che il bambino sappia sempre cosa gli entra in bocca, altrimenti il genitore rischia di interpretare male le sue reazioni.
È vero comunque che un bambino che non è pronto allo svezzamento è a maggior rischio di soffocamento se forzato, ragion per cui è fondamentale che chi inizia il percorso verso l’alimentazione complementare sia nelle condizioni indicate sopra, testa eretta, capacità di deglutire etc. Pur non essendoci studi che indichino un legame particolare tra svezzamento tradizionale o autosvezzamento e rischio di soffocamento, è certamente molto utile che il bimbo sia messo in condizione di sperimentare consistenze diverse: un bambino lasciato libero di toccare, assaggiare, annusare il cibo in libertà, infatti, imparerà prima a gestire il cibo in bocca, mentre i conati si faranno sempre più rari. Chi è abituato con le pappe potrebbe invece fare più faticaquando sarà messo di fronte ad alimenti solidi: spesso si parla in questo caso di un “secondo svezzamento”, ma questa volta dalle pappe.
In ogni caso, se vediamo che nostro figlio o un qualsiasi bambino è in difficoltà con un pezzo di cibo, o addirittura dà segni di soffocamento, bisogna subito intervenire: mai infilando le mani in bocca al bambino, per cercare di togliergli il pezzetto di cibo, ma praticando le manovre di disostruzione pediatrica, facili gesti salvavita che si devono assolutamente imparare se si ha un bambino piccolo, indipendentemente dal tipo di svezzamento scelto (per informazioni sui corsi contattare la Croce Rossa). È vero poi che, a causa del mix di forma-scivolosità-consistenza, ci sono cibi a rischio più di altri. In particolare cibi tondeggianti quali arachidi, piccoli chicchi d’uva o pomodorini, che però basterà tagliare a pezzetti; cibi che possono formale una “palla di bolo” in bocca, quali il prosciutto crudo, che conviene tagliare a listarelle piccole, o alcuni tipi di mollica di pane; alimenti duri quali caramelle, o carote crude e mele che è meglio evitare perché hanno una consistenza davvero poco gestibile a meno di non cuocerle o tagliarle molto piccole. È impossibile essere esaustivi, per cui si deve fare affidamento al buon senso e all’attenzione dei genitori.
Addio dilemma allergie
Anche quello delle allergie è un problema che, comprensibilmente, crea sempre non poche angosce nei genitori, tuttavia la ricerca ci dice che l’introduzione ritardata degli alimenti non aiuta ad evitare le allergie. Le linee guida correnti dicono che dopo i sei mesi si può introdurre già tutto, e solo se in famiglia ci sono casi di allergie, febbre da fieno, dermatite, ecc. alcuni gruppi di alimenti (quali uovo, pesce, frutta secca, frumento, soia, frutti di mare e latte vaccino), ovvero i cibi che in qualunque alimento confezionato appaiono in grassetto nella lista degli ingredienti, possono essere introdotti con gradualità. Come se ciò non bastasse c’è tutta una serie di articoli dove si afferma che prima si introducono gli alimenti “a rischio” e meglio è per ridurre il rischio di allergie. “Per tutti questi motivi ci possiamo sentire ancora più tranquilli che la strada dell’autosvezzamento è effettivamente la migliore per i nostri figli, in quanto fin dall’inizio verranno esposti a tutta una serie di cibi, partendo da quantità piccole che potrebbero consistere in un semplice morsetto o una leccatina. L’idea che sia indispensabile introdurre un nuovo alimento ogni tot giorni è così diffusa perché è un concetto facile da comprendere e da veicolare, ma soprattutto perché dà al genitore l’illusione di essere in controllo di quello che accade”.
Infine, un altro tabù da sfatare è quello del sale: non c’è motivo oggettivo che richieda che i bambini mangino necessariamente tutto sciapo. È sufficiente che i genitori ne usino quantità ragionevoli, ovvero salino il giusto, e di conseguenza anche i bambini non ne abuseranno. “Quindi anche su questo fronte siamo tranquilli e lasciare che nostro figlio si svezzi da solo dalla tavola dei genitori”.
In conclusione, l’autosvezzamento altro non è che (ri)scoprire il modo in cui funzioniamo e i meccanismi legati alla crescita. Mangiare è un istinto che abbiamo tutti, così come è istintivo per il bambino passare dal latte ai solidi nella consapevolezza che i bambini di sicuro non si lasciano morire di fame. Di più: il bambino è un essere competente e va trattato come tale. Dopo tutto impariamo a camminare e a parlare semplicemente per imitazione e provando e riprovando, perché non dovrebbe essere lo stesso per il cibo?
Foto di Lisa Fotios