Il turismo in alta montagna? Al ritmo con cui si riscalda la terra, rischia concretamente di sparire, e a nulla potrà la neve artificiale. Ma questa è davvero solo la più lieve delle notizie contenute nell’ultimo Rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC, organo scientifico Onu che si occupa di clima), dedicato a “Oceano e Criosfera in un clima che cambia”. Redatto da 104 autori di 36 paesi diversi e fondato su quasi 7.000 pubblicazioni, il Rapporto è stato rilasciato ieri a Monaco, mentre arrivavano le notizie allarmanti su un possibile distacco del ghiacciaio di Planpincieux sul Monte Bianco. E proprio il ritiro e lo scioglimento dei ghiacciai (in Europa caleranno dell’80% entro il 2100, in assenza di azioni), unito alla perdita di massa delle calotte glaciali e alla diminuzione della copertura nevosa influenzeranno in futuro, negativamente, sia la disponibilità delle risorse idriche – nelle regioni di alta montagna (dove abitano 670 milioni di persone) come a valle – che la qualità dell’acqua, minacciata dalla mobilizzazione di contaminanti (soprattutto mercurio). L’apertura di nuove future, rotte commerciali nell’Artico, potenzialmente libero dai ghiacci a settembre, metterà a rischio l’ecosistema artico e le comunità costiere.
Proprio queste ultime, non solo ad alte latitudini ma ovunque (per un totale di 680 milioni di persone), sono minacciate gravemente dall’innalzamento del mare: secondo le previsioni più negative, l’innalzamento sarò di 60-110 cm entro il 2100 o di 30-60 centimetri nello scenario meno infausto. Saranno sempre più devastate da cicloni tropicali, tempeste e piogge intense, specie se le emissioni resteranno alte, mentre le zone dove i ghiacci si ritirano sono messe in pericolo da frane, valanghe e alluvioni.
Ma l’oceano non muta solo di livello. Si riscalda – le ondate di calore marine sono raddoppiate dal 1982 – e si acidifica, con conseguente alterazione sui benefici di questi ecosistemi in termini di beni alimentari come di mitigazione dei cambiamenti climatici stessi. Il Rapporto prevede una diminuzione del 15% della produzione ittica globale, l’erosione delle comunità coralline, una perdita tra il 20 e il 90% della vegetazione costiera, con gravi conseguenza per i redditi e il sostentamento alimentare, specie dei paesi che dipendono dalla pesca.
Molte sono, però, le misure che si possono mettere in atto subito: ridurre la pressione antropica e l’inquinamento, ripristinare le zone umide costiere, introdurre pratiche di gestione sostenibile della pesca, prevedere sistemi di allarmi precoci per gestire i rischi connessi ad eventi estremi. Ma per contrastare gli effetti dell’aumento delle temperature serve, anche, una riduzione urgente e ambiziosa delle emissioni di gas serra, in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015. Obiettivo complicato, però, proprio dallo scioglimento dei ghiacci, visto che lo scongelamento del permafrost (25% entro il 2100 se il riscaldamento resta sotto i 2°C, 70% se le emissioni crescono), rilascerebbe biossido di carbonio e metano che aumenterebbero la concentrazione di gas serra. “Gli impatti dei cambiamenti climatici sull’oceano e la criosfera producono cambiamenti che in alcuni casi sono ormai irreversibili e la cui intensità aumenterà: per questo è indispensabile prendere in considerazione soluzioni per affrontarli”, ha detto Simona Masina del Centro Euro-mediterraneo sul Cambiamento Climatico, Focal point dell’Ipcc per l’Italia. Come i precedenti Rapporti (agosto 2019 e ottobre 2018), anche quest’ultimo Rapporto è uno strumento pensato per i decisori e i leader politici. Che dopo il Summit Onu, si vedranno alla 25esima Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima, in Chile, a Dicembre. Ci sarà ancora Greta Thunberg. E sicuramente, nessuno potrà dire che le evidenze scientifiche manchino.
Settembre 2019, Il Fatto Quotidiano