“Aziende multinazionali come Amazon, Google, Facebook e molte altre, che operano fuori da ogni controllo nazionale, stanno esercitando un potere troppo forte sui nostri governi e sulle nostre società, che tragicamente hanno scelto di sottomettersi alla loro influenza. Queste aziende hanno la libertà di muoversi come vogliono dentro le nostre economie locali, non rendono conto a nessuno e il loro impatto sulla democrazia e l’ambiente è largamente ignorato. Infine, non pagano le tasse, mentre il commercio nazionale e locale è oppresso dalle imposte. Ecco perché sono più ricche e potenti degli stati nazione. Ed è un problema democratico enorme”. È da poco sbarcata in Italia, dove parteciperà alla diciottesima conferenza Internazionale sull’Economia della Felicità (da domani fino a domenica a Prato, tra i relatori anche Serge Latouche, Massimo Fini, Vandana Shiva), Helena Norberg-Hodge. Linguista, scrittrice, attivista sociale svedese, fondatrice di Local Futureshttps://www.localfutures.org, Helena Norberg-Hodge è autrice del best seller Ancient Futures – incentrato sulla vita della popolazione della regione himalayana di Ladakh – e produttrice del pluripremiato film “L’economia della felicità”, dove argomenta le sue tesi contro la globalizzazione e a favore della localizzazione, vista come antidoto a ingiustizia e infelicità. Al Fattoquotidiano.it parla, in particolare, delle conseguenze della tecnologia sulla nostra vita e su quella dei bambini e dello stravolgimento sociale causato dalle multinazionali, in particolare quelle della digital economy.
Perché la tecnologia causa infelicità?
Abbiamo perso di vista la possibilità di sviluppare tecnologie che operino entro strutture che siano su scala umana, tecnologie che servano e vadano realmente a vantaggio degli esseri umani, senza distruggere l’ambiente. Nel ripensare la tecnologia abbiamo bisogno di guardare in scala minore: produzioni diversificate con distanze più brevi, negozi meno grandi, legati a città e paesi più piccoli, che possano ridurre tutti i problemi associati al vasto sistema globalizzante. Più persone sui territori, più persone nei negozi, all’interno di sistemi autenticamente locali equivale a un modo di vita al tempo stesso più umano e piacevole ma anche ecologicamente più sostenibile.
A questo proposito, il governo italiano vorrebbe chiudere i negozi la domenica. C’è stato un ampio dibattito con posizioni aspramente contrapposte. Lei che ne pensa?
Guardando a ciò che succede in altri paesi, è chiaro che le chiusure domenicali aiutano i piccoli negozi. Consentire a questi ultimi di prosperare significa avere un lavoro meno svuotato di significato. Inoltre, ripartire il potere economico e la ricchezza verso una moltitudine di piccole aziende, e meno a favore di poche mega-aziende, è un modo strutturale per distribuire la ricchezza in maniera più equa nella società. Essere produttivi su un ritmo umano, inoltre, produce un maggior benessere generale. Ciò non significa che le grandi aziende debbano chiudere, ma dovremmo impedire a multinazionali che non devono rendere conto a nessuno di distruggere relazioni sociali e legami tra le persone, oltre che risorse naturali.
Restando sul tema della felicità: cresce nel nostro paese la convinzione che buona parte del nostro disagio sia dovuto all’immigrazione, in particolare incontrollata.
Anche su questo fronte dobbiamo capire come funziona il sistema economico globale e il suo impatto sulle economie locali e nazionali nel mondo. La xenofobia, il razzismo e persino i conflitti violenti stanno crescendo virtualmente in ogni paese. Perché? Il motivo è il modo in cui questo sistema economico crea sconvolgimenti sociali e scarsità di lavoro, anche a causa del rimpiazzo delle persone attraverso la tecnologia. Permettere alle grandi corporazioni e banche di estrarre ricchezza dalle società nel mondo è la principale causa parte delle crisi che fronteggiamo oggi e non c’è nessun dubbio che la distruzione della nostra identità e delle economie locali stia portando a una paura crescente e al razzismo ovunque.
Lei avanza anche una critica ai modelli che i giovani di tutto il mondo ricevono.
Sì, verso il modo in cui le persone giovani sono spinte a conformarsi con modelli sempre più distanti da loro. Il linguaggio locale, il cibo locale, il modo di vivere locale sono rimpiazzati da una cultura globale, universale, dominata e promossa da monopoli globali. Che, tra l’altro, contribuiscono al cambiamento climatico e all’ecocidio, generando profitti per le banche e per le multinazionali e impoverendo la maggior parte delle persone sulla terra. Queste pressioni stanno portando a un’epidemia di depressione e di suicidi che si sta diffondendo rapidamente. E poiché le persone si sentono insicure sempre più votano per leader nazionalisti o persino fascisti che promettono di fare la propria nazione di nuovo grande, ma in realtà inseguono senza eccezioni un modello di crescita economica che aiuta pochi a dispetto di molti.
Lei è aspramente critica contro i processi di “de-materializzazione” della nostra società. La digitalizzazione ci unisce o contribuisce alla nostra solitudine?
Temo che siano le stesse statistiche a dire che le persone si sentono sempre più isolate e sole e che il sentimento di isolamento cresce con l’uso dei social media. Gli incontri faccia a faccia stanno diminuendo, ed incredibile che non abbiamo ancora scoperto la moltitudine di ragioni per cui gli umani hanno bisogno di un contatto profondo e continuo con gli altri esseri umani, per sentirsi visti, apprezzati e da ultimo amati. Ci siamo evoluti sulla terra attraverso relazioni umane quotidiane e interdipendenti, anche con piante e animali, profondamente immersi nella vita. Oggi ci sono molte terapie emergenti, ad esempio per persone con problemi mentali, dove ciò che viene incoraggiata è proprio una riconnessione con la vita, piante, animali, una comunità umana. E poi c’è un altro aspetto legato all’uso dei social media.
Quale?
Quando le persone comunicano sempre più attraverso gli schermi, la conseguenza è un aumento dell’invidia sociale. Le foto piacevoli dei vostri amici in vacanza per il weekend sul Facebook o Instagram fanno sentire chi le guarda sfortunato. In pratica i social media fanno oggi quello che la tv e la pubblicità facevano prima: sostenere modelli distanti che sembrano perfetti e affascinanti e che per contrasto ti fanno seguire inadeguati. Quando stavo in Ladakh, ho incontrato persone rilassate e profondamente rispettose di sé. Nessuno pensava di essere indietro o povero. Oggi vedo l’effetto di modelli come Barbie o Rambo sui bambini di pochi anni. E quando sono tornata nel mio paese, in Svezia, c’erano ragazzine di sei anni che morivano di fame perché non si credevano magre abbastanza. Dalle mie esperienza in vari paesi, dal Ladakh e Bhutan all’Italia, la Svezia, la Germania e l’America si vede chiaramente una disintegrazione sociale, ovvero la rottura delle relazioni familiari, come di quelle tra vicini, che priva i bambini di modelli di confronto reali da cui ricevono la sensazione di essere apprezzati per come sono. I modelli sono distanti, fuggevoli, irreali, basati sul possesso materiale, mentre aumentano le pressioni sui bambini e ragazzi perché vadano alla scuola migliore e riescano ad avere un lavoro. Purtroppo anche il modello di insegnare è diventato più impersonale, standardizzato e dipendente dalla tecnologia.
Lei parla anche di un’importante perdita di capacità umane proprio a causa della tecnologia.
Per colpa della tecnologia, siamo allenati ad avere una sola funzione ma non ad essere multidimensionali. Le abilità multiple che la maggior parte delle persone avevano fino all’era industriale stanno morendo. Essere capaci di far crescere il cibo, di tenere a bada gli animali, di prendersi cura dei fratelli più piccoli, di aiutare a costruire qualcosa, fare da sé i vestiti, di cantare, ballare e creare musica. Questo portava a uno sviluppo olistico, non solo del lato sinistro del cervello ma del corpo intero; veniva inoltre favorita la coordinazione mano-occhio, il movimento, l’esercizio, e questo contribuiva a una diversa percezione di sé. Oggi ci sono sempre più evidenze sulle conseguenze di uno sviluppo squilibrato sul nostro cervello e sul nostro intero sistema ormonale.
Nei suoi interventi, parla spesso anche dell’importanza di pratiche spirituali.
Nella maggior parte delle culture prima della modernità c’era una forte comunità e una profonda connessione con la natura, che in sé instilla e garantisce una identità più felice e più salutare. Inoltre sì, c’erano anche pratiche e tradizioni spirituali che incoraggiavano la meditazione e la calma della mente, così come insegnamenti religiosi o etici che ricordavano l’infelicità che deriva dall’avidità, dall’attaccamento, dalla mancanza di compassione verso gli altri, verso altre forme di vita. Il contrario della cultura veloce, competitiva, consumista e stressante imposta ai nostri bambini: che oggi materialmente hanno tutto, eppure sono meno felici.
Il fatto.it settembre 2018
Foto di Adrien Olichon