“Il rinvio delle chemioterapie influirà sul decorso della malattia, visto che sono metastatica?”. “Ho un sospetto tumore al pancreas, che succede se non posso fare tutti gli accertamenti?”. “Senza monitoraggio della malattia della fase post chemio rischio di aggravarmi?”. “Riuscirò a fare i controlli di follow up?”. Sono alcuni dei dubbi dei malati oncologici che, in questo momento di emergenza sanitaria, stanno vivendo un dramma nel dramma. La paura riguarda soprattutto le visite di controllo rinviate, la mancanza di informazioni chiare sulla continuità del percorso terapeutico, infine il timore di infettarsi per il virus, anche se, come scrive F., “il covid-19 mi fa paura, ma il mio Cancro di più, perché non si ferma”. A raccogliere queste testimonianze è stata l’Associazione Codice Viola, associazione molto attiva nell’assistenza dei malati di tumore pancreatico. Durante queste settimane, è riuscita a somministrare un questionario a ben 484 pazienti oncologici di vario tipo, i cui risultati non sono affatto rassicuranti. Le prime visite, anzitutto: chi ne aveva una si è visto cancellare l’appuntamento nel 37% dei casi, mentre nel caso delle visite di controllo il rinvio o l’annullamento riguarda il 42% dei casi. Per quanto riguarda le terapie, c’è un 11% dei pazienti che si è visto cancellare gli appuntamenti per le chemioterapie, spesso con messaggi non rassicuranti (“Vista la gravità delle condizioni, i potenziali vantaggi della chemioterapia in atto non sono tali da giustificare i rischi legati al coronavirus”). In alcuni casi si sono allungati gli intervalli standard tra una chemio e l’altra. Ma il dato più preoccupante riguarda gli interventi chirurgici –operazioni per rimuovere tumori o mastectomie o ovariectomie – che sono stati rinviati a data da destinarsi nel 64% dei casi, a volte per mancanza di sangue o anestesisti dirottati altrove. Infine la diagnostica (eco-endoscopie, biopsie, TC, PET, ecografie): rinviata o annullata nel 32% dei casi, anche per la chiusura dei centri diagnostici privati. La maggior parte – 76% – di questi pazienti non ha ricevuto alcun supporto telefonico o in videoconferenza, né offerta di soluzioni alternative, tanto che il 40% di questi malati afferma che la crisi avrà ripercussioni negative sulla cura e un 5% teme che la crisi gli impedirà di curarsi del tutto. “Quando è scoppiata l’epidemia il sistema sanitario è stato colto di sorpresa”, spiega Francesca Pesce, 54 anni, traduttrice, dell’Associazione Codice Viola. “Alcuni reparti di oncologia sono stati chiusi, altri riconvertiti (è il caso dell’ospedale Bernabeo di Ortona, ndr). Ma il rischio è che la morte per tumore diventi un effetto collaterale grave del coronavirus. E che si muoia non assistiti, com’è successo a una signora veneta gravissima a cui è stata ridotta l’assistenza domiciliare – altro problema enorme – ad una sola volta a settimana”.
Ma esistono indicazioni guida del Ministero o delle regioni? Mentre in alcuni paesi, come la Gran Bretagna, è stata stilata, da parte del NICE (National Institute for Health and Care Excellence) una fredda tabella in cui si gerarchizzano i malati oncologici in sei categorie, piazzando per ultimi coloro che ricevono una terapia con basse chance di successo, il nostro Ministero, così come l’AIOM, (Associazione italiana di oncologia medica) hanno dato solo alcune indicazioni generali: rinviare i controlli dei pazienti non in terapia, valutare il rapporto rischio/beneficio delle terapie e dell’accesso in ospedale, sospendere il pendolarismo sanitario tranne in casi particolari. Secondo il prof. Michele Milella, Direttore del reparto di Oncologia dell’Azienda Ospedaliera di Verona, centro di eccellenza per la cura dei tumori del pancreas, “l’assistenza ai pazienti oncologici in epoca di coronavirus cambia a seconda delle regioni. Noi abbiamo creato un comitato etico interno che stabilisca le priorità in ambito oncologico: un conto è un tumore alla tiroide, un altro del pancreas”. Secondo Milella, sono due i dati più evidenti: “C’è stata una riduzione sensibile degli interventi chirurgici e una riduzione del flusso dei pazienti da fuori (ma anche degli accessi inutili), che però abbiamo continuato ad assistere attraverso il contatto con gli oncologi di altre regioni, garantendo la continuità terapeutica. Aspetti positivi che andranno mantenuti dopo la fine dell’emergenza.” Fine sulla quale interviene anche Codice Viola, sempre con le parole di Francesca Pesce: “Per il dopo emergenza chiediamo la creazione di centri di eccellenza regionali per le patologie oncologiche, la pianificazione adeguata per la gestione dei ricoveri nelle emergenze e l’utilizzo diffuso delle tecnologie digitali nella comunicazione medico-paziente. Diversamente problemi, inefficienze e burocrazia si scaricheranno ancora una volta su quelle fasce più deboli della popolazione, tra questi i pazienti oncologici. Rendendo ancora più insopportabili le liturgie ipocrite e vuote del ‘dobbiamo proteggere le fasce più deboli della popolazione’”.
Aprile 2019, Il Fatto Quotidiano
Foto di Magda Ehlers