Interesse verso gli aspetti negativi della realtà contro l’ossessione manicale del positivo; difesa del proprio radicamento e dei propri limiti contro l’invito assillante ad autosuperarsi e migliorare senza sosta; contenimento dei proprio sentimenti contro l’esaltazione incontrollata delle emozioni soggettive: è un vero e proprio invito a ribellarsi alla “coachificazione della vita” e alla dipendenza sistematica da esperti di ogni genere quello di Svend Brinkmann. Nel libro Contro il self help. Come resistere alla mania di migliorarsi (Cortina editore), il filosofo danese si scaglia contro la glorificazione dell’accelerazione, del progresso e dell’adeguamento repentino e continuo ai cambiamenti tecnologici: tutti aspetti che, in nome dello sviluppo, ci spingono dritti nelle braccia di “legioni di life coach, terapeuti, consulenti dello stile di vita pronte a traghettarti nelle acque agitate della modernità”, grazie ai rimedi di cui sono pieni sia i manuali di autoaiuto che pagine social dei guru digitali: “Motivazione, gestione dello stress, mindfulness, pensiero positivo e ricerca di soluzioni”. Il tutto, ovviamente, per “realizzare se stessi”, mantra indiscusso del nostro tempo. Sette sono gli strumenti che Brinkmann suggerisce per resistere al conformismo dei nuovi coach. “Smettere di guardarsi l’ombelico”, anzitutto, “accettando il fatto che non troverai alcuna risposta dentro di te” e soprattutto arrivando a capire che l’ossessione per l’introspezione e l’eccesso di autoanalisi può essere incompatibile con il rispetto degli impegni verso il prossimo. Svincolarsi dall’imperativo dell’ottimismo e dalla “tirannia del positivo” è la seconda mossa: il realismo può essere liberatorio, specie per chi vive una malattia e un dolore e oggi è costretto a dichiarare, magari in libri di cui sono pieni gli scaffali, che la sofferenza lo ha migliorato e reso più felice. Dopo aver invitato a riscoprire la capacità dire di no, ad esempio di fronte a “proposte offensive, umilianti o degradanti”, c’è poi il capitolo sui sentimenti, dove si mette in discussione il luogo comune secondo cui l’autenticità coincide con l’espressione ininterrotta dei sentimenti, qualunque essi siano. Al contrario, una persona adulta dovrebbe evitare di “vomitare in giro emozioni”, oltre a capire che alcuni aspetti della vita sono importanti a prescindere dal modo in cui fanno sentire le persone. A questo punto secondo Brinkmann siete pronti per gli ultimi passi: riallacciarvi al passato e alle tradizioni, “perché la ripetizione è la vera innovazione”, e soprattutto dare finalmente il benservito ai vostri coach, reali o virtuali, profeti dello sviluppo che, oltre a colpevolizzarti se non migliori, ti rendono di fatto dipendenti da loro mentre ti invitano a liberti. A questo punto non resta che cestinare i manuali di autoaiuto e le biografie, optando invece per i romanzi. “Che rappresentano più fedelmente la vita” e ci ricordano quanto “scarso controllo abbiamo sulla nostra esistenza e quanto essa sia inestricabilmente intrecciata con i processi sociali, culturali e storici”.
Ottobre 2018, Il fatto quotidiano
Foto di Reafon Gates