Usare le risorse date dall’Europa quasi esclusivamente per decarbonizzare il nostro paese non rappresenta un freno alla crescita né produce disoccupazione. Al contrario, se l’Italia spendesse l’80% dei fondi del “Next Generation Eu” (il cosiddetto Recovery Fund) per investimenti in decarbonizzazione, il Pilaumenterebbe del 30% entro il 2030 e il tasso di occupazione dell’11%, con forte beneficio per i giovani. È la tesi di Ossigeno per la crescita. La decarbonizzazione al centro della strategia economica post-Covid, primo studio macroeconomico in Italia a identificare a livello sistemico il ruolo della decarbonizzazione nella ripresa economica. Scritto da una ventina di specialisti tra cui Enrico Giovannini, Giovanni Dosi, Paola Mercogliano, Pia Saraceno, Anastasia Pappas e Donatella Spano, è curato da REF-E, agenzia specializzata in ricerca sui mercati energetici.
Due le tesi chiave del del rapporto: lo Stato è un attore chiave nel processo di decarbonizzazione e per questo, come spiega l’economista Anastasia Pappas, “deve sostenere il rischio di impresa per chi fa innovazione per la decarbonizzazione”. In secondo luogo, gli investimenti e la finanza sono l’unica via per indirizzare il sistema produttivo verso la crescita sostenibile, “a condizione”, nota Giovanni Dosi, professore alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, “che non siano sussidi a pioggia ma organizzati in precise missioni, dal fotovoltaico all’idrogeno verde”. Un altro punto fondamentale, come nota il rapporto, è la questione delle competenze: se i fondi del “Next Generation EU” verranno gestiti a livello nazionale, ancora non è chiaro quale ruolo avranno le Regioni e gli enti locali nell’attuazione. In ogni caso queste ultime, come scrive Matteo Leonardi, coordinatore del progetto, “non possono essere esenti dagli obiettivi di decarbonizzazione e quindi dagli obblighi quantitativi e procedurali legati alla riduzione delle emissioni, e vanno dunque coinvolte”.
Green bond, economia circolare, posti di lavoro verdi, ecocriteri per gli acquisti pubblici – Lo studio individua due scenari di ripresa, partendo dai dati macroeconomici 2020 (caduta del Pil dell’8,4%, crollo degli investimenti al 16% del pil, rapporto debito pubblico/Pil vicino al 160% e crollo occupazionale). Nello scenario cosiddetto conservativo si riesce a spendere solo parte delle risorse Ue, il 50%, e con politiche di decarbonizzazione incerte. Il risultato sarebbe un rimbalzo del Pil parziale: si raggiungerebbero i livelli del 2019 solo nel 2024 e i livelli precrisi nel 2030. Il tasso di occupazione sarebbe ancora lontano dalla media europea e il rapporto debito Pil superiore al 140% oltre il 2030. Nello scenario virtuoso, con l’80% delle risorse alle politiche investite sulla decarbonizzazione, il tasso di crescita annuo, grazie all’attivazione di investimenti privati nei settori chiave dell’innovazione tecnologica, si manterrebbe vicino al 5% per qualche anno, per poi scendere al 3,5%, generando le condizioni per il rientro dal debito, mentre il tasso di occupazione salirebbe dell’11% – dal 57% al 68% – e il Pil aumenterebbe del 30% entro il 2030.
Lo studio individua cinque aree in cui attuare le riforme necessarie per un piano di decarbonizzazione che rilanci l’economia. La fiscalità, con l’introduzione di un prezzo minimo di carbonio a parità di gettito, l’eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi, i bonus auto e per l’efficienza energetica; in secondo luogo la finanza sostenibile, con l’emissione di green bond, la “tassonomia verde” per indirizzare gli investimenti, l’economia circolare (meccanismi di promozione ai beni circolari, ecobonus legato a materiali riciclati, sostegno a imprese e start up circolari); terza area, la domanda pubblica, con il potenziamento della domanda di prodotti e servizi per la decarbonizzazione attraverso il “Green Public Procurement” e l’adozione di criteri ambientali minimi per tutti gli acquisti della Pubblica amministrazione; infine il lavoro, con la formazione di nuove professioni, la contrattazione collettiva a supporto della transizione energetica, la creazione di posti di lavoro pubblici verdi.
Riforme contro il cambiamento climatico ed economia verde – Dallo studio emerge anche la necessità di impegnare le risorse europee in tecnologie per la decarbonizzazione in almeno tre settori dell’industria pesante (ferro e acciaio, chimica, minerali non metallici), che sono responsabili di quasi il 50% dei consumi finali di energia e del 70% delle emissioni di gas serra dell’intera industria. Ci sono inoltre indicazioni per i vari settori: nel settore elettrico, ad esempio, è prioritario sbloccare il processo autorizzativo per le fonti rinnovabili e portare avanti una riforma del mercato funzionale allo sviluppo delle rinnovabili in sostituzione delle fossili, favorire la produzione di moduli fotovoltaici nazionali, avere una strategia per gli accumuli idroelettrico ed elettrochimicoe mettere in atto strumenti per il sostegno degli investimenti in idrogeno verde.
Per il settore trasporti, uno dei più critici, il report consiglia di concentrare gli incentivi per il rinnovo del parco autovetture sulle sole tipologie elettriche – identificando e focalizzando le policy sui potenziali già disponibili, quali la conversione delle flotte aziendali e lo sviluppo dei servizi ferroviari di trasporto passeggeri – e sostenere la mobilità non motorizzata, in particolare sviluppando largamente il sistema degli itinerari protetti ciclabili di livello urbano e suburbano. Nel settore alimentare è fondamentale, tra le altre cose, l’adozione di pratiche agricole che aumentino la capacità di assorbimento della CO2 nei suoli con agricoltura conservativa, così come serve un riorientamento della Pac (Politica agricola comune) e dei relativi programmi di sviluppo rurale con priorità a misure legate a decarbonizzazione e tutela del suolo. Fondamentali anche i programmi per il trattamento della frazione umida (obiettivo: 22 impianti per un’occupazione di oltre 40.000 unità, per investimenti di circa 2 miliardi di euro) e l’incremento quantitativo e qualitativo della raccolta del rifiuto organico.
Il 90% degli italiani chiede che le aziende con aiuti statali taglino le emissioni – Non mancano dunque materiali e indicazioni perché i politici sappiano come indirizzare le risorse in arrivo dall’Europa. E se non fosse abbastanza per convincerli, il sondaggio The New Normal pubblicato giovedì scorso dall’iniziativa internazionale “More in Common” dice chiaramente che gli italiani, preoccupati per il 75% che il governo non faccia abbastanza per gli clima, sono i primi a sostenere che il covid-19 offra l’opportunità per radicali trasformazioni per contrastare i cambiamenti climatici e mettere in campo un Green New Deal per far riprendere l’economia ma in maniera rispettosa verso l’ambiente. A pensarla così non solo i giovani, ma anche gli over 55, mentre ben il 90% dei cittadini del nostro paese crede che le aziende che ricevono un aiuto economico dallo stato debbano impegnarsi a ridurre le emissioni di Co2. D’altronde, come scrive uno degli autori del rapporto sulla decarbonizzazione, l’economista Enrico Giovannini,presidente di ASviS, “parlare solo di ripresa ci fa dimenticare come anche la resilienza da futuri shock deve essere il nostro elemento guida e per questo ci serve un Piano con una visione sistemica per il futuro, non possiamo più affrontare i problemi in maniera settoriale”.
Il Fatto Quotidiano.it
Foto Pixabay