Ho letto con grande interesse il breve, intenso, libro dello scrittore Jonathan Franzen che Einaudi ha mandato in stampa poco tempo fa. Il libro si chiama “E se smettessimo di fingere? Ammettiamo che non possiamo più fermare la catastrofe climatica”. E parte proprio da questo, ovvero dalla tesi secondo cui di fatto, stando a qualsiasi scenario, fermare il riscaldamento globale è impossibile. Franzen, che è stato accusato per questo lungo articolo e per altri simili, dice: se noi diciamo di aver fallito e che arginare la temperatura sotto i due gradi non è possibile, potremmo avere degli effetti paradossalmente positivi. Potremmo ad esempio concentrarci, pur senza dimenticare la lotta alle emissioni, su altri aspetti, come ad esempio la mitigazione degli effetti di alluvioni, ondate di calore e altri eventi. Ma anche sulla cura del verde intorno a noi e della biodiversità, in generale del mondo “visibile”, qualcosa di più vicino e concreto. Qualcosa che potrebbe magari darci più gratificazione rispetto alla lotta impossibile verso un obiettivo che non vedremo.
E proprio questo secondo aspetto mi ha fatto riflettere. A dispetto di quello che i suoi critici hanno detto, e cioè che questo libro non aiuta la lotta contro il cambiamento climatico, penso esattamente l’opposto. Credo che quello che Franzen ci vuole dire sia questo, ovvero: se parliamo alle persone solo dell’ossessione della temperatura che sale, se le angosciamo con i numeri delle emissioni, se gli parliamo solo del futuro catastrofico che sarà tra dieci, venti o trenta anni queste persone volteranno le spalle alla lotta per il clima. Non solo. In questo modo il tentativo di contrastare il riscaldamento globale è molto più difficile. Continua a restare tremendamente astratto, concettuale, freddo. Continua a sembrar qualcosa per tecnici, per scienziati, non persone vive, concrete e soprattutto limitate quali noi siamo.
Franzen dice: parlate a queste persone di cose concrete. Ditegli che la lotta al clima passa anche dal prendersi cura dell’ambiente intorno a noi. Dite ai politici di investire anche su questo, su ponti saldi che si vedono, su argini ai fiumi che si possano toccare con mano. Fate capire che ci si prende cura della terra anche con azioni che gratificano e che sono possibili: ma non solo evitare di mangiare carne, consumare acqua o altro, cose “negative”, legate a proibizioni, piuttosto creare un giardino o proteggere un bosco. Cose, ripeto, che si possono toccare perché la lotta al clima è troppo intangibile. Fa sentire impotenti. E al tempo stesso non è gratificante, perché tanto nulla basta, nulla serve di fronte a un nemico che sembra essere troppo grande e invincibile, che si mangia tutto. Le emissioni crescono sempre, sempre, nonostante i nostri sforzi.
Franzen allora dice: ok, diciamo al nemico che ha vinto. Smettiamola con gli orologi dell’apocalisse, cessiamo di gridare che mancano dieci anni, visto che non abbiamo alcuna idea di quanto manchi, magari tre anni come venti. Smettiamo di parlare solo di apocalisse climatica, di salvare il pianeta. Davvero può un uomo, o un bambino, “salvare il pianeta?”. Un bambino può evitare di calpestare un fiore, può piantare un seme, può raccogliere la cartaccia e chiudere un rubinetto. Cos’altro può fare? E un uomo pure. Basta con le immagini del pianeta terra come cosmo, ma sapete quanto è grande la terra? Quella che vediamo e disegniamo, tra l’altro, è una terra astratta, perché noi da qui non sapremmo mai com’è fatta. Una foto fatta da astronauti. Paradossalmente non per noi.
Wittgenstein diceva che possiamo parlare di tutto ciò che sta dentro il mondo, ma non del “mondo in sé”. Perchè questa è metafisica, e se ne può dire solo in termini metafisici. Gli attivisti del clima parlano troppo spesso un linguaggio metafisico, incomprensibile. Occorre forse ripartire dai dettagli. Occorre ripartire dal qui e ora. Questo, in realtà, a mio avviso, vuole dire Franzen, che è ben lungi dall’affermare che non serva ridurre le emissioni o che gli stati non debbano fare leggi per contrastare l’aumento delle temperature. Il suo, da scrittore, è un romanzo psicologico, che invita a prenderci cura di noi stessi e dell’ambiente che è intorno a noi.
Infine, appunto, Franzen ci ricorda che la psicologia è dannatamente importante in questa storia del clima, altrimenti finiamo in uno “scientismo” che non ci serve, perchè non è per chi scienziato non è. Rendiamo il tema del cambiamento climatico qualcosa che la gente può toccare. Ma soprattutto “sentire”, non solo capire. E avremo vinto forse, la battaglia per il clima.
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