Una signora a me cara mi ha raccontato di aver pianto amaramente l’altro ieri quando ha saputo che la biblioteca dove andava ogni tanto a studiare, una grandissima biblioteca nel centro di Roma, è stata nuovamente chiusa. La signora, professoressa e storica dell’arte, sta scrivendo un libro e ha bisogno di consultare dei libri che non sono assolutamente reperibili altrimenti. Ma non è solo questo. Ha un marito che soffre di alcune patologie e che deve assistere tutto il giorno. Non può vedere i suoi nipoti. Andare in biblioteca, in una situazione che – racconta – era assolutamente composta e controllata, era un momento di vera gioia e sollievo.
Può sembrare un problema minore rispetto a chi è ricoverato o chi ha perso il lavoro. Ma non è così. Come ha scritto l’Associazione Italiana Biblioteche in una lettera accorata a tutti i ministri, al presidente della Conferenza delle Regioni, al presidente dell’Istituto di Sanità, al presidente della Conferenza dei Rettori, i libri sono beni essenziali e non solo perché “strumenti primari di apprendimento” ma anche “compagni di viaggio che aiutano a non sentirsi soli, ad affrontare la solitudine, le paure, le difficoltà che oggi più che mai affliggono le nostre esistenze”.
L’Associazione si chiede come mai le librerie siano state giustamente considerate fondamentali, e dunque siano rimaste aperte anche nelle zone rosse, e le biblioteche no. Con conseguenze in un certo senso più gravi, perché le biblioteche civiche, sparse sul territorio, sono gratuite e accessibili a tutti, anche ai più poveri e chi non può fruire di bonus culturali e simili.
In questi anni invece, spiega l’Associazione, le biblioteche sono state sempre più neglette. I bibliotecari andati in pensione non sono stati rimpiazzati, non sono stati fatti investimenti; mentre l’utenza cresceva – la biblioteca tra l’altro è uno dei pochi luoghi dove si incontrano più generazioni, i giovani come gli anziani professori, “questo è bellissimo” mi ha detto sempre la signora -, mentre le persone hanno cominciato a usarle come luoghi dove ritrovarsi, dove leggere i giornali, dove trovare albi colorati da portare ai bambini a casa. Quegli albi magari inaccessibili per il loro costo. Biblioteche come luoghi dove ritrovare un senso di comunità ormai perso.
Ma c’è di più. Le biblioteche sono considerate tra i posti più sicuri e raccomandabili dove recarsi, scrive sempre l’Associazione. E per questo davvero non ci si capacità perché siano state chiuse. E soprattutto non ci si capacita perché almeno non sia stato lasciato il servizio di prestito di libri, attraverso i quali credo non possa certo passare il contagio (so di assurde quarantene fatte fare ai libri in prestito. Non sono una virologa ma penso che basti un semplice gesto per pulirli una volta rientrati). In altre parole, non si capisce davvero per quale motivo il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini abbia deciso di chiuderli con una tranquillità e relativa indifferenza che lasciano davvero stupiti. Specie visto che si tratta di un ministro di “sinistra”, almeno in teoria, sinistra che più di ogni altra cosa dovrebbe tenere in considerazione la lettura e la cultura. Non è così, a quanto pare.
Come al solito, e sempre di più purtroppo, spetta ormai a noi cittadini protestare, fare appelli, scrivere affinché dei servizi vengano ripristinati, affinché cose essenziali non vengano chiuse. E’ faticoso, sinceramente, e anche ingiusto. Penso ai residenti della biblioteca Borghesiana di Roma, che stanno chiedendo che si riapra quella biblioteca, chiusa tra l’altro da mesi, visto che molte non hanno mai riaperto: biblioteca che era un presidio sociale, contro l’abbandono scolastico, contro l’incultura, contro il degrado culturale e psicologico.
Non meravigliamoci poi se nelle urne vincono populismi o candidati ignoranti, persone rozze e che mai una persona veramente istruita voterebbe. Se non lavoriamo sulla scuola, se non difendiamo l’istruzione, se un ministro dei Beni culturali non dice nulla contro la chiusura generalizzata di musei, mostre e biblioteche, neanche un tweet di rammarico – almeno quello – perché mai ci si stupisce se poi trionfano le destre becere? Personalmente continuo a non darmi spiegazione del perché le biblioteche siano state chiuse. Ma ho trovato forse una risposta, quella che mi ha dato un amico sui social network: “Le chiudono perché tanto i bibliotecari sono pagati lo stesso“.
Per quanto paradossale, sarebbe anche un criterio fermare i dipendenti pubblici visto che gli altri, se si fermano, muoiono di fame. Ma sarebbe un discorso con un qualche senso se questo, come nel caso delle biblioteche, non andasse a colpire, al solito, i più fragili, come studenti non benestanti che lì trovano un spazio in cui essere accolti, anziani che vanno a leggere il giornale, persone che non hanno magari una connessione e possono collegarsi, madri in cerca di libri per propri figli che leggono sempre di meno. Quel famoso “territorio” che il Partito democratico dice continuamente di voler rappresentare. E che invece ha dimenticato.
Lasciare aperte le biblioteche ha un senso profondo. Come la scuola, la cultura dà motivazione alla nostra battaglia per la sopravvivenza. Per questo, con tutte le sicurezze del caso, dovrebbe restare aperta. È così difficile capirlo?
Il Fatto Quotidiano.it, 7 ottobre
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