Intervista a Nicoletta Dentico
Danno miliardi in beneficienza, ma la loro generosità è solo apparente. Non solo, infatti, tramite le benevole agevolazioni fiscali molto di quanto donato torna indietro, ma soprattutto, grazie alle loro potenti fondazioni, riescono a entrare nelle istituzioni e imporre le loro politiche globali in settori cruciali, come la sanità, l’agricoltura, il cambiamento climatico. Sono i vari Gates, Clinton, Turner, Bezos, Zuckerberg, i nuovi “filantrocapitalisti”, come li chiama la giornalista Nicoletta Dentico – che da vent’anni si occupa di salute globale – nel suo nuovo libro, Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo (Emi editore). “I grandi tycoon globali si propongono come la soluzione di problemi che il loro modello di imprenditoria globale ha causato”, spiega. “Inoltre i loro interventi sono lineari, arrivano dall’alto, senza nessun coinvolgimento delle popolazioni locali. Che però non vogliono carità, ma giustizia”.
Può spiegarci cos’è il filantrocapitalismo e perché, secondo lei, non produce vera giustizia?
Il mio libro non parla della filantropia tout court, ma del filantrocapitalismo appunto, cioè quella forma particolare di filantropia che usa i valori e gli strumenti delle imprese alla soluzione presunta dei problemi che spesso quelle stesse imprese hanno provocato. Insomma, il modello imprenditoriale come unico veicolo di miglioramento umano. L’opulenza e la ricchezza
del capitalismo si mettono in gioco per trovare le soluzioni al fallimento del mercato (market failure), salvo scoprire che questo umanitarismo olia le ruote delle loro stesse imprese.
Lei scrive che filantropia conviene.
Certo. Nella logica dei filantrocapitalisti la filantropia diventa tutt’uno con il loro business, diventa il prolungamento del loro business con nuovi mezzi. Lo dicono i numeri che riporto nel mio libro. Essere buoni e generosi, donare soldi “per fare il bene” è uno straordinario investimento di immagine e di marketing, produce buona reputazione e consente la penetrazione in luoghi dove altrimenti gli imprenditori non entrerebbero, cioè la politica e le istituzioni multilaterali, i luoghi del potere su scala mondiale.
E poi ci sono le agevolazioni fiscali.
Esiste un sistema fiscale incredibile di vantaggi privati per chi fa la filantropia: più la faccio e meno tasse pago. Questo avviene soprattutto in America, dove il sistema favorisce gli iper ricchi rispetto ai privati che fanno piccole donazioni alle associazioni. I vari Gates, Clinton, Ted Turner, Bezos, Zuckerberg ottengono invece vantaggi fiscali enormi. Una norma che purtroppo ha fatto scuola in molti paesi, l’unico paese che ha norme rigide su questo è la Svezia.
Eppure le cifre messe mobilitate da questi filantropi sono importanti. Possibile che non portino vantaggi?
Sono cifre importanti, certo, hanno molti soldi! Ma
come ha scritto l’Ocse in un rapporto del 2018 che ha fatto molto discutere il mondo della filantropia, i filantropi erogano cifre che si
aggirano intorno al 7-8 miliardi di dollari l’anno (almeno stando ai dati fino al 2106). Quindi, nonostante la potentissima narrazione biografica e coniugale – le consorti sono in prima linea – che sono riusciti a mettere in campo, pur dando l’impressione di essere elargitori di somme stratosferiche, le loro erogazioni non sono poi così significative. Inoltre, investono nei paesi più sicuri e stabili, non in quelli a rischio che di fatto sono i più fragili. L’Ocse insomma decostruisce a suo modo la narrazione delle magnifiche sorti e progressive della filantropia. Dal canto loro gli Stati, come dice sempre il rapporto Ocse, investono circa 146 miliardi di dollari nel campo dello sviluppo, insomma c’è una certa sproporzione.
È tutto negativo, dunque?
Ovviamente no. Tra l’altro le fondazioni sono tantissime, circa 200.000 nel mondo. Ma la questione è più a fondo e cioè quale ruolo debbano avere questi uomini, bianchi, vincitori della globalizzazione, nella definizione delle sorti del Pianeta. Per quali motivi siano loro a mettere in campo le ricette per i cosiddetti diseredati, le soluzioni. Spesso si tratta di ricette tecnologiche univoche e di mercato, che tramite le fondazioni somministrano uguali per tutti e per tutti i settori, che si tratti di salute, agricoltura, finanza, etc. Vengono imposte con la leva dei soldi senza nessun coinvolgimento delle popolazioni interessate.
E in maniera opaca.
Sì, con scarsissima trasparenza, anche nella loro relazione con i governi: ricordo che queste fondazioni sono entità di diritto privato, così come le partnership pubblico- private che hanno creato. Dunque al netto del bene che può venirne, si tratta di capire a che prezzo. Quello di frammentare la governance, sfruttando la debolezza geopolitica dei governi del sud del mondo e usando il potere negoziale che viene loro dalle connessioni con i potenti soggetti dell’economia mondiale.
Qual è il rapporto dei filantropi con le Ong?
I filantropi hanno finanziato massicciamente le Ong negli ultimi vent’anni, hanno anzi generato una nuova generazione di Ong finanziariamente e anche psicologicamente dipendenti da queste fondazioni. Mi riferisco sempre a Gates e non solo, vale anche per Rockefeller, Clinton, Bezos e Zuckerberg. Per molte Ong del sud del mondo è il solo modo per vivere. Il coinvolgimento delle Ong è facile, i loro finanziamenti dipendono dalla filantropia visto che i fondi della cooperazione languono, e anche le donazioni individuali diminuiscono.
In che campi operano i filantropi?
Diciamo che la salute globale è un terreno di sperimentazione. Gates ha creato l’alleanza per i vaccini GAVI che dal 2000 è un attore assolutamente importante, vorrei dire anche quasi più importante dell’Oms, nel promuovere la ricerca e produzione di vaccini. Oggi ha un ruolo fondamentale per la ricerca e identificazione del vaccino contro il covid. Poi ha partecipato alla nascita del Fondo Globale contro l’Hiv/Aids, la malaria e la TB. Gates finanzia tutte le partnership pubblico-private per la ricerca di nuovi farmaci per le malattie tropicali e dimenticate. Quando crea queste realtà, la fondazione ha sempre un ruolo di rilievo nel board, insedia personale di sua scelta, proveniente anche da Microsoft, insomma queste realtà sono spesso figlie di Gates e della sua fondazione, anche se a esse partecipano governi, Ong, settori dell’industria, etc. Dopo Ebola Gates ha creato CEPI, una nuova partnership per la produzione di vaccini pandemici che ora con SARS-CoV-2 ha un ruolo fondamentale. I vaccini sono lo strumento principe secondo Gates per affrontare i temi della salute.
Secondo lei non hanno un ruolo di rilievo?
No, ce l’hanno, eccome, i vaccini non si discutono come strumenti di sanità pubblica, ma il problema si crea quando i vaccini diventano l’unica strategia per fare salute pubblica, con una visione molto tecnologica e imprenditoriale, focalizzata sul prodotto, senza considerare che il vaccino da solo non va da nessuna parte, che deve essere adattato ai contesti in cui è destinato, spesso privi dei sistemi sanitari, che deve avere del personale che lo possa somministrare. Insomma, non può essere uno strumento isolato, decontestualizzato dalla necessità di intervenire sui determinanti sociali ed economici della salute.
E in ambito agricolo?
La fondazione Rockfeller si è unita alla fondazione Gates per costruire AGRA, l’alleanza per l’agricoltura in Africa, che punta a modernizzare l’agricoltura attraverso la monocultura in alleanza con giganti come Syngenta e Monsanto, oltre a Microsoft. L’idea è questa: introduciamo semi geneticamente modificati, biofortificati, per sopperire alle carenza nutrizionali. Insomma si è introdotta in Africa una sistema di agricoltura industriale di tipo occidentale basata sui pesticidi, e l’utilizzo degli ogm. Le fondazioni procurano il finanziamento alla ricerca nel campo biotecnologico. Con pochi soldi, Agra ha finanziato centri di ricerca che languivano in diversi stati africani, ha avuto facile presa rispetto ai governi e alla comunità scientifica e oggi è un potentissimo veicolo di leva economica per le aziende coinvolte, che intanto hanno conquistato nuovi mercati.
Nessuno si oppone, come la comunità scientifica?
Purtroppo la stessa comunità scientifica è prevalentemente finanziata da Gates. Come hanno scritto le due ricercatrici Alanna Shaik e Laura Freschi, che cito nel mio libro, oggi ci ritroviamo a “leggere un articolo su un progetto finanziato da Gates, scritto da una penna formata grazie a un programma di giornalismo finanziato da Gates, basato su dati raccolti e analizzati da una équipe scientifica sovvenzionata da Gates”. Le organizzazioni della società civile africane si battono per contrastare tutto questo, i medici cattolici della Nigeria che hanno scritto al governo per chiedere di fermare un’agricoltura che non fa bene alla salute, ma la lotta appare impari.
E poi c’è il tema del cambiamento climatico.
Sì, Gates si è impegnato finanziando progetti di geoingegneria, interventi cioè che prevedono la manipolazione dell’ambiente, degli oceani, dei suoli, la cattura e lo stoccaggio del carbone. Al di là della loro dubbia efficacia, va ricordato che comunque Gates è il più grande investitore di alcuni grandi produttori di petrolio e gas come la Canadian National Railway. Insomma, lui come altri sono una sorta di giano bifronte. Anche nel campo del cambiamento climatico, come della salute, le sue scelte sono ancora fossili e cozzano con la sua narrazione sul suo intervento in campo climatico attraverso strategie che la società civile tra l’altro contesta da anni, visto che la geoingegneria non è la soluzione per restare sotto i due gradi, come previsto dall’accordo di Parigi.
Cosa possiamo fare, allora?
La filantropia non si confà con una democrazia liberale e con una cultura dell’illuminismo che sembra purtroppo perduta. Siamo in un tempo che io definirei post-liberale, o postfeudale. Il diritto internazionale non conta più nulla, non ce la fa, non ha gli strumenti per gestire questo. Con il covid-19 la fondazione Gates viene riconosciuta alla stessa stregua dell’Oms, della Banca mondiale e della Commissione Europea, quindi come una istituzione multilaterale, per il ruolo che si è ritagliata nel coordinare la ricerca del vaccino. Io credo che dobbiamo recuperare, in un mondo multipolare, il multilateralismo che abbiamo perso, totalmente frantumato. L’Oms sta nelle mani delle potenze occidentali e penso che serva una grande spinta per la ricostruzione del multilateralismo e una ripresa della funziona pubblica, che questa pandemia ha fatto riscoprire.
Il covid aiuterà la politica a tornare più forte?
La politica deve riprendersi la responsabilità strategica di quei territori dati in mano ai filantropi: salute, agricoltura, finanza, contrasto al cambiamento climatico. Il covid dice ai governi: voi contate, e le società con voi interagiscono. L’unica via, dunque, è riprendersi in mano la partita, fermando l’accumulazione e la libertà dei flussi di capitali. La filantropia capitalista si batte con le regole del diritto e affrontando i problemi strutturali, come quello del debito dei paesi poveri che hanno pagato il loro debito ampiamente. Il virus ci ha mostrato come l’interazione tra pubblico e privato senza regole non funziona. Occorre davvero cambiare.