Oggi, 3 gennaio, Greta compie 18 anni. Per l’Italia sarebbe finalmente considerata maggiorenne, degna di votare e di vivere autonomamente. Fa sorridere, tuttavia, lo iato che esiste tra la maturità e la sapienza estreme che questa ragazza ha dimostrato in soli due anni e mezzo di azione climatica (il primo sciopero in solitudine, ricordo, è stato ad agosto 2018), e insieme a lei tutti i milioni di ragazzini che la seguono e lottano, e l’assoluta insipienza e ignoranza di quelli che invece, ufficialmente, sono considerati adulti.
In pochi mesi, Greta Thunberg è riuscita ad imporre all’attenzione dei media e della politica un tema assolutamente negletto come quello del cambiamento climatico. Se oggi si parla di clima, se oggi si comincia a comprendere l’immensità della minaccia sulla nostra vita del riscaldamento globale è anche grazie a lei. Senza “santificarla”, possiamo dire che in un certo senso Greta Thunberg ci ha forse salvato.
Proprio di lei mi è capitato di parlare pochi giorni prima della chiusura delle scuole, a scuola di mio figlio. Ho deciso, d’accordo con l’insegnante, di affittare il documentario che parla della vita di Greta da agosto 2018 a settembre 2019, e di introdurlo spiegando ai bambini (dieci anni) chi è Greta e cosa racconta quel film. La sintesi era facile: Greta è una ragazzina normale, che ama stare a casa con i suoi genitori, giocare con i suoi amati cani, studiare.
L’unica differenza rispetto agli altri sta nel fatto che quando, ha visto un documentario sui ghiacciai che si scioglievano e gli orsi polari che affogavano, non è tornata a casa facendo finta di niente, ma ha cominciato a pensare: se quello che ho visto è vero, non possiamo fare finta di nulla. Non possiamo dire e documentare che esista tutto ciò e però continuare a fare la vita di tutti i giorni. Così ha cominciato a scioperare, da sola, al freddo, dopo un periodo di depressione e dolore causato proprio da questa contraddizione.
Piano piano altri si sono uniti, è stata notata e da lì è stato uno crescendo di inviti e di interventi, culminato nel viaggio a New York e nel discorso al summit delle Nazioni Unite, dove, con rabbia, ha gridato il suo “How dare you“, “Come osate”. “Tutto questo è sbagliato, io non dovrei essere qui, io dovrei essere a scuola”, ha detto in quel toccante discorso, che molti si aspettavano molto più morbido e quasi all’insegna della riconoscenza per l’invito.
Quello che, anche, ho spiegato a mio figlio e ai suoi compagni sono due cose. Primo, che essere famosi non è facile. Non lo è stato per Greta, che ha vissuto spesso con ansia il suo ruolo, pesantissimo per spalle così giovani. Secondo, che essere famosi significa essere esposti a minacce e insulti, che sono venuti incredibilmente non tanto da sconosciuti sui social, ma dai leader del mondo e anche da giornalisti (penso all’appellativo “gretina” coniato da noi). Jair Bolsonaro, Donald Trump, gli uomini più famosi del mondo l’hanno attaccata con violenza, lei ha reagito sempre con ironia, usando Twitter in maniera intelligente e da vera adulta. E alla fine, non c’è dubbio, ha vinto lei.
Che è tornata a scuola e oggi – tanti si chiedono cosa faccia – continua nel suo lavoro come sempre e con lo stesso rigore e metodo di sempre: pubblicare dati scientifici, divulgarli, continuare a denunciare la gravità della crisi climatica e l’inazione dei governi, persino quelli più green (come la Nuova Zelanda), ma anche lo scarto che esiste tra la crisi pandemica, “trattata come doveva ovvero come crisi e minaccia esistenziale” e la crisi climatica.
Crisi che continua invece ad essere affrontata solo intellettualmente, come tema, ma non appunto come un vero attacco alla salute e alla vita, come invece dovrebbe. “New Year same crisis“, ha twittato in occasione della fine dell’anno Greta. Come darle torto.
Ma Greta non ha solo scosso letteralmente le coscienze di milioni di persone, in maniera rigorosa, senza mai sbagliare passo o tono, sempre seguendo il suo bellissimo motto “United behind the science“. In questi mesi ha avuto una funzione fondamentale, che nessun altro ha saputo fare come lei: dare voce ai giovani di tutto il mondo e in particolare quelli di nazioni povere e completamente ignorate dai media.
Grazie ai social network, in particolare Twitter, Greta rilancia le proteste e le immagini di ragazzi che nessun telegiornale ci mostra, giovanissimi dei paesi asiatici o africani che più sono colpiti dal cambiamento climatico e che più provano rabbia, nella misura in cui capiscono che la loro misera condizione è dovuta soprattutto allo stile di vita dei paesi più ricchi.
Degli effetti del cambiamento climatico sui paesi poveri non parla nessuno – figuriamoci, non si parla di quelli su di noi – eppure è un tema enorme che ha a che fare con la giustizia globale. È anche, direi, un problema di verità. In questo senso Greta, che non soffre di narcisismo come i tanti che l’hanno attaccata, non ha mai avuto problemi a coinvolgere e dare voce a giovani leader climatici in crescita nei vari paesi.
Per tutto questo, attacchi e critiche a questa ragazza, che oggi compie diciotto anni ma che era adulta da tempo, sono semplicemente patetici. E senza dubbio, hanno uno sfondo misogino profondo, che si unisce alla triste convinzione, così diffusa nel nostro paese, che i giovani, specie donne, non possano dire e fare cose migliori degli adulti, specie maschi cinquanta-ottantenni che detengono le leve del potere, sovente senza avere alcuna competenza, sicuramente in campo climatico.
Per lavoro, ho spesso a che fare anche con i ragazzi dei Fridays For Future, nati appunto sulla scia di Greta. Ragazzi che a vent’anni sanno già tutto di scioglimento del permafrost, tipping point (punti di non ritorno), decarbonizzazione, polveri sottili. Persone preparatissime che scrivono, scioperano, lottano gratuitamente, mentre il nostro Parlamento non è ancora in grado di votare leggi fondamentalisull’ambiente come quelle contro la plastica o per eliminare i finanziamenti alle fonti fossili, né di redigere una bozza di Recovery Fund che davvero consenta al nostro paese di operare una transizione energetica e verde.
C’è il rischio che i soldi non serviranno a questo. C’è il rischio di fallire su un punto fondamentale per la nostra sopravvivenza, se è vero che un lavoro approfondito del Centro Euro-mediterraneo sui Cambiamenti Climatici ipotizza un aumento delle temperatura in Italia fino a 5 gradi entro fine secolo. In parole povere, un habitat impossibile per vivere. Di questo parla Greta. Delle nostre vite e della nostra sopravvivenza, non di altro.
E allora c’è da chiedersi davvero se non sia ora di dare voce ai più giovani, anzitutto con la tanto sbandierata riforma del voto a sedici anni mai poi concretizzata. E dare loro anche spazi di azione, sempre invece sbarrati a favore di occupa da troppo tempo le poltrone del potere. Oggi mi sentirei molto più sicura se in Parlamento ci fossero ragazzi consapevoli della crisi climatica che adulti o anziani che non sanno neanche di cosa stiamo parlando.
E mi sentirei al sicuro molto più con una giovane donna come Greta Thunberg, non solo informata ma anche profondamente sensibile al dolore dei poveri e degli ultimi, in ruoli chiave di potere che non di uomini che n0n sanno cosa significa il riscaldamento globale in megalopoli fatte di baracche e prive di arie condizionata, ma anche nelle nostre periferie urbane quando le temperature arrivano a quaranta gradi. Uomini incapaci di empatia, che è la facoltà che collega la conoscenza dei contenuti ai sentimenti. Qualcosa di fondamentale per governare e legiferare.
Per tutto questo, insomma, faccio tanti auguri a Greta, che continua a lottare contro governi e uomini di potere assolutamente “minorenni” quando si tratta di parlare di crisi climatica globale. Che il diventare ufficialmente adulta le eviti almeno gli insulti di chi l’ha sempre liquidata perché ragazzina, come quando Bolsonaro la definì “mocciosa”. Oggi, per quanto giovanissima, è una donna. Per questo, forse ancora più temibile da chi vorrebbe lasciare le cose esattamente come stanno.
3 gennaio 2021, Il Fattoquotidiano.it