Quando ieri è scoppiato il caso Fedez-Rai, e ho cominciato a vedere i post di giubilo per l’intervento del rapper, la condivisione della sua indignazione, la celebrazione – anche – della sua famiglia mi sono chiesta perché invece la tempestosa denuncia del cantante mi lasciasse indifferente. Anzi, direi inquieta. Che la richiesta di “censura” da parte della Rai fosse inopportuna, che la Rai sia una struttura politicizzata invece che una produttrice indipendente di contenuti di qualità è noto da sempre, anche se è stato sicuramente positivo che i conflitti di interesse venissero ulteriormente stanati. Ma, appunto, non conta nulla da chi, come in molti hanno scritto?
Chi è, dunque, Fedez? Chi è, ai miei occhi, intendo, per come lo percepisco attraverso i messaggi e i comportamenti che mette in atto e pubblicizza? Sicuramente, una persona che agisce spesso in cerca di visibilità, come accadde per la famosa elemosina a “caso” ripresa per poi pubblicarla sui social. È una persona che fa fatica, come ha scritto spesso Selvaggia Lucarelli, a contenere un certo narcisismo che, tra l’altro, sicuramente lo danneggia, perché lo spinge ad azioni talvolta controproducenti. Dal punto di vista dei valori, pur essendo generalmente “di sinistra”, non è stato sempre coerente, ha cambiato più volte idea. Insomma, per come lo vedo io, spesso le sue uscite non sono conseguenza di una difesa di certi temi costante e coerente nel tempo, ma variano a seconda dei momenti (e delle convenienze?). Basterebbe questo per non farmi sentire entusiasta di fronte alla sua esternazione, che tra l’altro ha totalmente cancellato i messaggi e gli altri protagonisti del Concerto del Primo Maggio.
Ma esiste un altro problema del “modello Fedez” (ovviamente, non è il solo). Lui lo liquida dicendo che non sarebbe più coerente quando difende valori se avesse una Panda: ma il punto non è la sua ricchezza. Il punto, per lui esattamente come per la Ferragni, che però dal punto di vista delle battaglie civili si tiene più defilata, è la continua, strutturale commistione tra vita privata (e quindi anche idee) e suo utilizzo a fini commerciali. Non esiste quasi più alcuna distinzione, cioè si fa fatica a capirla a vederla nel caso ci fosse, per la coppia tra ciò che vivono e ciò che vendono, perché praticamente quasi ogni post pubblicizza un prodotto, così come qualsiasi loro uscita pubblica, visto che indossano vestiti e orologi che sponsorizzano (e no, è evidente che non basta l’hashtag #adv, non è quello il punto).
Ieri gli ‘avversari’ di Fedez notavano come fosse al concerto con un cappello su cui simboleggiava il simbolo della Nike. Non credo la scelta fosse casuale. Ma altri hanno fatto notare, giustamente, che Fedez è anche un testimonial di Amazon, che proprio non primeggia nella difesa dei lavoratori. Le affiliazioni commerciali dei due sono così tante che è quasi impossibile saperle tutte. E questo sì, crea a mio avviso un problema gigantesco. Faccio un altro esempio: proprio in questi giorni Fedez lanciava il suo smalto per uomini. Una coincidenza? Forse. Non possiamo saperlo. Ma per me non è così credibile uno che si lancia in una invettiva a difesa dei diritti degli omosessuali mentre lancia una linea di smalti da uomo. Quanto meno, non mi piace. Non è il modello a cui vorrei mio figlio si ispirasse.
Ripeto, è ovvio che la Rai abbia fatto una figura meschina. E lo stesso la politica, intera, incapace di portare avanti un disegno di legge che in altre paesi sarebbe banale. Ma abbiamo davvero bisogno di Fedez per difendere i diritti civili? O meglio, ci resta solo lui, nel collasso della politica e del sistema di informazione pubblico? Siccome abbiamo la memoria corta, faccio notare che due mesi fa Fedez era al festival di Sanremo, perfettamente allineato a ciò che allora gli venne richiesto. Forse perché l’obiettivo del momento era un altro? E cioè vincerlo, magari grazie alle numerose stories della moglie? Su questo macroscopico conflitto di interessi, non solo di Fedez, ovviamente, ma nel suo caso più evidente di altri, si fece una breve polemica, poi tutto finì lì. La Rai non ebbe il coraggio di mettere in discussione un modello che rischia di tagliare fuori il talento a favore del più forte digitalmente. Chiedo: è questo quello che vogliamo?
A tutto questo, alla Rai, alla nostra politica, al modello del rapper che pubblicizza smalti mentre chiede diritti, io preferisco un altro modello di influencer. Ad esempio quello di Greta. Questa ragazzina sta facendo una fatica incredibile per difendere la sua coerenza. Per evitare di essere strumentalizzata, per cercare di non diventare un prodotto commerciale, né appunto mischiarsi ad alcun tipo di vendita commerciale. Ha creato una Fondazione a cui posso arrivare donazioni. Quando dona soldi – come di recente 100.000 euro per i vaccini nei paesi poveri – lo annuncia su Twitter e mi sembra giusto. Ma non ha nulla da vendere.
Attenzione che il mio non è un giudizio morale. Credo che Greta sia più intelligente, quanto meno più lungimirante. Sta creando un modello che, appunto, è destinato a durare. Per quanto Fedez e la moglie siano sulla cresta dell’onda, celebrati da quasi tutta la stampa italiana e ormai anche dalla politica di sinistra, non penso che il loro modello, oltre ad essere preferibile, sia di lunga durata. Almeno me lo auguro. Perché altrimenti vuol dire che vivremo in una società in cui non sarà più distinguibile se qualcuno dice qualcosa perché ci crede o, magari, perché ne trae anche vantaggio o, ipotizzo, sta vendendo magari un prodotto. La chiarezza su questo dovrebbe essere assoluta, totale. Come è possibile che, al contrario, ciò non sia evidente?
Noto, in conclusione, che noi giornalisti non possiamo alcuna forma di pubblicità, pena l’esclusione dall’ordine. In questo universo in cui si celebra invece chi difende valori mentre al tempo stesso vende – oltretutto rafforzato nella sua immagine proprio grazie alla difesa dei valori, come ha messo bene in luce Nicoletta Dentico nel libro sui cosiddetti “filantrocapitalisti” – ci sentiamo – almeno io mi sento – davvero quasi presi in giro. Se il modello che si va affermando è questo, finiremo per sembrare patetici. Noi, a cui le lezioni di deontologia hanno spiegato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che chi racconta fatti o esprime opinioni su un giornale o un altro mezzo, non può pubblicizzare prodotti. Perché appunto si creerebbe conflitto. Perché, appunto, non sarebbe credibile.
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