Lo spazzolino da denti di Churchill? Probabilmente giace da qualche parte della terra, magari in fondo al mare. Ma lo stesso potrebbe valere persino per lo strumento con cui si lavava i denti Mussolini. Già, perché, come migliaia di altri prodotti, anche lo spazzolino da denti è fatto di plastica dura e difficile da decomporsi. Da quando dunque i polimeri hanno sostituito costosi strumenti di legno e setole di cinghiale, o più spartani bastoncini con una spugna all’estremità, gli spazzolini – comodi e alla portata di tutte le tasche – hanno cominciato ad invadere il mondo. Mettiamoci anche che il dentista suggerisce di cambiarli ogni tre mesi almeno, cosa che per fortuna (ambientalmente parlando) puntualmente trasgrediamo, e non sarà difficile visualizzare qualcosa come oltre venti miliardi di spazzolini che finiscono nella spazzatura ogni anno. Da non dimenticare inoltre che una buona parte di noi utilizza lo spazzolino elettrico: certo, dura forse un po’ di più, ma ha ancora più plastica e in più le batterie.
Siamo sempre di fronte al solito dilemma: ovunque ci vengono venduti a pochi euro prodotti pratici che però fanno male all’ambiente. Il punto vero sarebbe chiedersi perché allora ci vengono venduti, ma come consumatori non possiamo fare altro che aggirare questa metafisica domanda e cercare di comprare oggetti un po’ più sostenibili. Ci sono, ad esempio, spazzolini dall’impugnatura in plastica vegetale derivata da canna da zucchero – si trovano anche in farmacia e nelle sanitarie – oppure in bambù, che tuttavia sarebbe meglio evitare di bagnare perché si macchia e di conseguenza si rovina. Quanto alle setole, è difficile trovarle di materiali naturali, però – oltre agli spazzolini che consentono di cambiare solo le setole, riducendo lo spreco – è possibile acquistare spazzolini con nylon biodegradabile che si decompone in tempi brevi (e se non si trova, puntiamo almeno sul manico).
Foto di Vlad Vasnetsov da Pixabay
Il Fatto quotidiano luglio 2021