A guardare il mondo occidentale dal giorno di Pasqua, appare evidente soprattutto una cosa. Che l’occidente, appunto, si affida a Papa Francesco per la risoluzione della guerra. E in generale per la risoluzione di ogni conflitto, problema, catastrofe.
Solo Papa Francesco sembra avere una lettura etica capace di leggere gli eventi attraverso il filtro della bontà e della malvagità, dell’ignoranza e della sapienza, della cecità e della lungimiranza.
Eppure proprio l’Occidente, nell’epoca moderna e poi illuminista, aveva fatto della possibilità di un’etica non fondata sulla religione la sua bandiera.
Svincolandosi dall’oscurantismo della Chiesa, gli intellettuali illuministi avevano spiegato che i diritti umani, e insieme la morale, possono reggersi unicamente sulla ragione. Non serve alcun appello al sacro, basta credere nell’umanità.
Due secoli e mezzo dopo, quello che vediamo è un occidente completamente secolarizzato eppure del tutto incapace di usare un vocabolario etico, l’unico che ci consente di uscire dai conflitti, di dirimere i rapporti umani, di ridurre le disuguaglianze, persino di curare l’ambiente e affrontare il tema della crisi climatica.
Nulla che possiamo fare con un linguaggio spogliato di ogni valore, quello che caratterizza la stampa di oggi, la politica e persino i cosiddetti intellettuali. Abbiamo una democrazia, sì, ma formale, incapace di garantire quella libertà che viene tanto sbandierata ma non esiste più nei fatti.
Eppure crediamo di avere una superiorità morale rispetto ad altri Paesi, rispetto ad altri continenti. Di cui poco o nulla sappiamo.
Sarebbe meglio che cominciassimo a fare autocritica, partendo dal fatto che abbiamo fallito. E che la ragione, perdendo ogni senso del sacro, non necessariamente in senso religioso, ci ha portato dove siamo: in una società di consumi, indifferente alle infelicità dei poveri e ai danni causati a biodiversità e ambiente, visto che i soli Paesi del G20 producono l’80% delle emissioni mondiali.
Mentre continuiamo a distruggere noi stessi e gli altri continenti, da cui molto avremmo invece da imparare, e a capo chino, ci appelliamo poi a quei leader morali rimasti, come il papa, appunto, per trovare un minimo di senso, per capire quali strade sarebbe meglio non percorrere, perché noi non lo sappiamo più.
Ma il Papa non può sostituirsi ai politici, ai decisori, agli intellettuali, agli scrittori, ai giornalisti di oggi. E noi non possiamo avere una coscienza morale bipolare, continuando da un lato a veicolare contenuti eticamente neutri, ovvero nulli, e dunque dannosi, salvo poi elogiare le omelie della domenica.
Recuperare il senso del sacro, ripeto, è l’unica strada: che non significa, attenzione, rifondare pericolose teologie politiche, ma rimettere il mondo al centro e non noi stessi, cancellare ogni forma di malato antropocentrismo, riconoscere di non sapere, ricominciare a riflettere, riprovare ad articolare un vocabolario morale, ripensare la morte, completamente cancellata dal nostro orizzonte. E farlo magari leggendo i grandi classici, i filosofi, i teologi di ogni religione del passato e quelli, meno noti eppure vivi, del presente.
In definitiva, recuperando cultura, che non è solo scienza, tecnologia, medicina, ma anche storia dell’arte, poesia, teologia, appunto.
Ciò che ci occorre oggi, insomma, è soprattutto più etica. Che ormai si trova solo entrando in una di quelle librerie religiose che oggi sono ripopolate persino da chi non crede, che invece nei luoghi progressisti e laici della nostra cultura non trova più ciò di cui ha bisogno. Ovvero libri che dicano ciò che è bene e ciò che è male.
E se l’obiezione più ovvia, e legittima, è chiedersi se esista una posizione univoca su bene e male, una risposta la dà, a esempio, il dialogo interreligioso: perché confrontando e studiando le diverse religioni, si capisce che pur nella diversità di testi sacri e di profeti, la via del bene è la stessa per tutti.
E così, parimenti, la condanna del male e, ancora prima, la fondamentale capacità di identificarlo.
Pubblicato su Lasvolta.it, aprile 2022