Siamo davvero un Paese che si fonda sull’illogico. Non solo la politica non porta avanti la transizione ecologica, ma anche i cittadini sono privati delle condizioni di poterla fare, nonostante siano spronati ogni giorno a cambiare stile di vita. Perché hai voglia a dire che ciascuno deve radicalmente mutare i propri comportamenti, ma se il sistema ti osteggia in tutti i modi la rivoluzione ecologica, fosse anche solo individuale, resta nel cassetto.
Prendiamo solo la questione della plastica, anzi degli imballaggi, scartando però – per rendere realistico il racconto – il single ecologista che ha il tempo di andare al negozio dello sfuso due quartieri più in là dal suo o può, sempre grazie al tempo, felicemente selezionare su internet le migliori marche senza imballaggio, facendo ordini mirati per singoli prodotti. Se l’esempio deve essere concreto serve un genitore medio, con un paio di figli, che fa la spesa in un grande supermercato col suo fantozziano carrellone. Poniamo anche che questo genitore la gran parte della frutta e verdura la compri al mercato vicino casa, che lo sa che è meglio. Ma la lotta contro gli imballaggi è destinato comunque a perderla.
Verdura dentro immarcescibili confezioni plastiche
Basta farsi un giro con lui: in Italia in genere i supermercati aprono con frutta e verdura per dare un’idea di freschezza. Il genitore in questione ha fatto, dicevamo, la sua scorta al mercato ma se è andato a un buon banco chilometro zero non avrà comprato i pomodori perché d’inverno non ci sono e anche altri ortaggi non sempre disponibili. Magari ha dimenticato di comprare le carote e quei finocchi che servono per evitare abbuffate notturne. Ma che problema c’è? Può rimediare, a patto di acquistarli dentro solide e immarcescibili confezioni di plastica rettangolari. Lo stesso dicasi, che so, per l’uva senza semi che certo, come i pomodori, non andrebbe comprata ma se i bambini mangiano magari solo quella? Come probabilmente per i pomodori fuori stagione, la scelta qui è tra la plastica e dare verdura al ragazzino. Il genitore opta per la plastica.
Bottiglie di latte per l’eternità
Si passa al bancone della pasta fresca: due ravioli per una cena quando non c’è tempo e già hai altre due scatolone di plastica millenarie. Lo scaffale degli yogurt e dei formaggi è la vittoria del polimero: confezioni grandi o piccole, tutto è plastica. Stesso dicasi per le mozzarelle, a volte messe in scatole dure, tonde e indistruttibili e per altri formaggi vari. Sul latte stendiamo un vero pietoso: è vero, ormai ci sono confezioni di carta, ma sempre con l’odioso tappo in plastica che richiede un intervento con forbici per estirparlo; ma resistono ancora le bottiglione di plastica dura che viene gettata dopo 24 ore e galleggerà per sempre nei nostri mari, all’avventura. Oppure sarà incenerita con relative emissioni, qui sparse democraticamente tra terra e mare.
Quei giga-scatoloni di carta inutile
Passare al banco dei salumi, se non si è vegetariani o non si hanno figli vegetariani, è un altro bel viaggio nell’imballaggio: carta oleata che non si può differenziare, foglio di plastica sopra non sia mai che non si metta e poi un altro bel po’ di carta anche per mezzo etto di prosciutto (con etichettona non differenziabile nella carta).
Il settore colazione sembra risparmiare il Pianeta (e il carrello) da altra plastica ma relativamente perché, cereali a parte, che comunque producono giga-scatoloni di carta inutile – basterebbe l’involucro dentro con su stampato il nome – le merendine sono incartate nella plastica e messe in una scatola ricoperta di plastica. E che dire del caffè? Già produce plastica se in polvere, poi se si ha la macchina per capsule l’imballaggio aumenta esponenzialmente con centinaia e centinaia di capsule vaganti in giro nel mondo (o, in alternativa, le relative emissioni necessarie per smaltirle).
Il mono uso vince ovunque
Pasta e riso fanno meglio, anche se la busta di carta della pasta ha ancora la finestra di plastica che ti costringe a usare le forbici o buttarla nell’indifferenziato se sei nervosa e le forbici non le trovi e non vuoi strapparla coi denti. Per il riso vale come i cereali: la scatola fuori è inutile e produce altro imballaggio. Olio, pomodoro, legumi, vino e birra sono certamente più ecologici quanto a contenitori, ma lo spazio lo prendono sempre: una scatola di metallo di fagioli o di tonno va comunque nel secchio e in una cena se ne possono consumare anche due o tre (sempre parlando di famiglie normali). Vino e birra idem: vetro ecologico ma tantissimo ingombro.
Sulla carne c’è da stendere un velo pietoso, sempre in plastica: fettine di petto di pollo o straccetti giacciono in saldissime confezioni in polistirolo coperte da plastica con etichetta plasticata. Arriviamo al settore dei succhi e pure lì c’è da mettersi le mani nei capelli: innumerevoli sono ancora le marche che usano bottiglie di plastica dure (su cui magari c’è scritto “riciclabile” che nulla vuole dire). Certo, molte sono di carta, ma il tappo resta di plastica (di nuovo forbici), la pellicola che avvolge le cannucce pure è in plastica nel caso dei piccoli succhi e comunque resta, come ovunque, il concetto di monuso, cioè di usa e getta. Concetto che trionfa in tutti le corsie, senza esclusioni.
Minerale: l’acqua magica venduta nel contenitore malato
Poco c’è da dire sull’incredibile settore delle bottiglie di bevande frizzanti e zuccherate. L’alternativa in vetro raramente esiste, come esiste la lattina, ma il maxi bottiglione che fa risparmiare è sempre, inesorabilmente, plastico. Dici bibite, dici acqua minerale. Pubblicizzata come pura, sana, terapeutica, diuretica è in realtà costosa, “rubata” alla collettività visti i due spicci di concessione che pagano le aziende ma soprattutto: avvolta in plastica! Insomma è come dire “ti vendo questa medicina magica ma scusa la avvolgo in uno contenitore che fa male”. Tant’è, spesso ci vuole un secondo carrello solo per l’acqua minerale, che si tradurrà nell’equivalente di un carrello di rifiuti.
E i surgelati? Ultimamente stanno guadagnando qualche punto, molte vaschette di gelato sono in carta, ma comunque è sempre tutto allegramente avvolto nella plastica.
Detersivi, il trionfo del polimero hard
Il trionfo del polimero hard, ingombrante e inquinante resta però il settore detersivi, dove sembriamo rimasti a cinquant’anni fa. Candeggine in flaconi enormi di plastica che neanche un martello può appiattire, detergenti per la casa con tappi spray che ci vorranno dieci generazioni a smaltire, scatole per detersivi, detersivi liquidi per pavimento etc. Praticamente si tratta di un mare di plastica con dentro un po’ di sapone. Ci sono qua e là meste ricariche, in rari casi, che comunque sono sempre in plastica.
Stesso dicasi per sciampi e balsami e soprattutto bagnoschiuma. Se una famiglia si lava, un flacone da un litro di sapone lo consuma in pochi giorni. Ma quel flacone duro durerà oltre la nostra morte o la accelererà grazie alle emissioni necessarie per smaltirle. Importa a qualcuno? Non pare. Specie se si guarda poi al settore pannolini e assorbenti, dove non troverete mai e poi mai una coppetta in silicone, il terrore dei produttori di assorbenti (un oggetto che dura vent’anni!) ma certamente vedrete montagne di pannolini di ogni tipo, che producono tra l’altro montagne di imballaggi questa volta totalmente indifferenziati.
Plastica messa in buste di plastica
Ovviamente, tutta questa plastica, finito il giro e pagato, la mettiamo in maxi bustone di plastica, perché la famiglia media non va a fare la spesa ogni giorno col sacchettino di cotone come il single ecologico (occorrerebbero una cinquantina di sacchettini di cotone e cinquanta braccia). Il risultato sarà che produrrà una busta di spazzatura in plastica e in carta ogni giorno, che moltiplicato per tutte le famiglie italiane significa montagne di spazzatura che neanche il più avido dei termovalorizzatori riuscirebbe a smaltire.
E abbiamo parlato solo di supermercato, ovviamente poi ci sono gli imballaggi dei corrieri, quelli dei giocattoli per chi ha figli, le scatole di scarpe, e tutto ciò che viene acquistato.
Consumatori pronti. Aziende un po’ meno, politica zero
Morale della favola: è inutile che ci fate fare la differenziata e ci invitate a essere ecologici se il mondo intorno a noi, quello dell’acquisto e del consumo, è rimasto uguale. Per quanto alcune aziende comincino a cambiare, i luoghi di acquisto nazional-popolari, cioè i supermercati, sono luoghi dove l’imballaggio regna sovrano. Perché in fondo l’imballaggio è anch’esso un oggetto di consumo, qualcosa che ti viene venduto.
Ci troviamo sommersi da plastica e carta anche quando non vorremmo affatto. Certo, bisognerebbe usare unicamente i gas, cioè gruppi di acquisto, fare due chiacchiere coi produttori, fare la spesa ogni giorno sempre col famoso sacchetto di tela, andare solo ai mercati, e molto altro. Ma la maggior parte delle persone non ha tempo per questo.
Non si è avuto il coraggio di mettere una plastic tax, che già non si sa bene dove, perché le imprese hanno protestato. Bene, questo è il risultato. Se non c’è nessuna tassa, ma neanche nessun incentivo a diminuire gli imballaggi, perché le aziende dovrebbero farlo? Ora materiali costano di più, ma anche gli oggetti avvolti dai materiali sono cresciuti, anche a causa di quei materiali in cui sono inutilmente avvolti.
Qui il punto è un altro: dobbiamo cambiare visione, cambiare testa. I consumatori sarebbero anche pronti a farlo e infatti quando magari trovano l’alimento avvolto in carta, come i pomodorini in vaschetta di cartone, travolti da commozione lo prendono. Ma non basta. È il sistema che deve cambiare. E in fretta. Noi consumatori non possiamo lottare contro i mulini a vento, perché non abbiamo né forze né tempo. Liberateci dalle maxi confezioni e dalla plastica ovunque che sta battendo la materia organica. Vorremmo un mondo senza imballaggi e, soprattutto, cervelli meno imballati.
Mio pezzo su La Svolta.it 19 settembre 2022