41,61% di votanti in Lombardia contro il 73,92% del 2018. 37,20% nel Lazio, contro il 69,98% di cinque anni prima. Questi i dati dell’affluenza alle regionali, che hanno visto una vittoria schiacciante della destra, a fronte della divisione del centro-sinistra.
Ma il tema di oggi, che è anche il tema del futuro, non è più tanto chi vince e chi perde. Perché sempre di più la frattura non corre tra i politici di destra e quelli di sinistra, ma tra la politica in senso lato e la società.
Esistenza, se gli italiani si organizzano da soli
Come si spiega, però, un calo così massiccio e preoccupante?
La risposta sta, soprattutto, nei cinque anni che ci separano dalla precedente tornata elettorale.
In cinque anni la società italiana è mutata moltissimo, nel bene o nel male. Sul fronte del lavoro, le persone sono sempre meno disposte ad accettare impieghi con paghe basse e sfruttamento.
Chi invece un lavoro ce l’ha, chiede più tempo libero, più libertà. Se non riesce a cambiare un lavoro infelice, mette in pratica il cosiddetto quiet quitting. Fare sempre meno, trovando spazi per sé, in attesa della pensione.
Un altro gruppo di italiani, invece, sopravvive grazie al lavoro nero e all’evasione, due fenomeni così diffusi da essere quasi strutturali.
Sul fronte della natalità e dei figli, anche, gli italiani si sono organizzati, per così dire, da soli, come se non potessero contare su nessuno, a parte gli aiuti della propria famiglia di origine. Il risultato è che i giovani di oggi fanno sempre meno figli, non per caso, per scelta. Non accettano di avere una qualità di vita bassa in cambio di un figlio. Lo fanno, solo con le massime garanzie e al massimo uno.
È una forma di adattamento, anche questa, come tale senz’altro intelligente. Sempre più fondamentale diventa, per chi vive nell’Italia di oggi, la possibilità di avere spazi propri, spesso e volentieri occupati dallo sport, ma soprattutto dalla tecnologia. È una vita riflessa sui social, una vita che passa interamente attraverso il web. Che è divenuto il grande spazio della discussione pubblica. Al posto delle manifestazioni di piazza. Che non ci sono praticamente più.
Le catastrofi globali aumentano l’impotenza della politica
In questi cinque anni, sono accadute due grandi catastrofi, il Covid e la guerra in Europa, per non parlare dell’inasprirsi del cambiamento climatico. Anche a questi fenomeni tragici, la gente ha risposto adattandosi. Cercando di sopravvivere come poteva, riprendendo a viaggiare quando poteva, dimenticando la guerra appena possibile, nonostante il martellare dei media.
Se gli italiani hanno messo in pratica l’adattamento, quello necessario anche per fronteggiare il cambiamento climatico, la politica avrebbe dovuto rappresentare il fronte della “mitigazione”. Quello capace di mettere in atto politiche strutturali e incisive, capaci di frenare gli effetti che poi costringono quelli che li vivono a mettere in atto, appunto, misure di adattamento.
Non solo così non è stato, ma la politica ha continuato a rappresentare anch’essa una forma distorta di adattamento,inseguendo in continuazione le emergenze senza risolvere le cause. Lo ha fatto il governo Draghi nella misura in cui ha messo tutti gli sforzi per cercare gas non russo invece che fare una lotta senza quartiere per le energie rinnovabili.
Lo stesso sta facendo il governo Meloni. Sulla natalità, il rafforzamento dell’assegno unico per una piccola percentuale di famiglie non cambia in nessun modo le possibilità di scelta dei giovani italiani che si trovano a decidere. Per fare un figlio, in Italia, manca tutto e a dispetto dei proclami ideologici quest’anno andremo per la prima volta sotto la soglia del 400.000 nati.
Dopo la rabbia, uno scetticismo crescente
In nessun modo, dunque, la politica appare capace di cambiare la vita delle persone. Per le elezioni regionali, questo è un paradosso, perché i governatori gestiscono la sanità, i trasporti, l’ambiente, ovvero ciò che davvero incide sulla vita delle persone.
Eppure, la maggioranza degli aventi diritti ha pensato che neanche quei politici non avrebbero fatto la differenza, proprio come d’altronde era accaduto nelle scorse elezioni politiche, dove rispetto al 2018 si è registrato un crollo di quasi dieci punti (dal 73 al 63, 91%). Per motivi vari: dal profilo basso di alcuni dei candidati, all’incompetenza, alla distanza, alla convinzione che i fenomeni globali talmente grandi che di certo non è il nostro Parlamento o Consiglio regionale a poter risolvere, come la guerra, come la crisi climatica.
In poche parole, le persone non sono andate a votare per uno scetticismo maturato negli anni e che andrà crescendo sempre di più. E che si basa sulla presa d’atto che la politica è sostanzialmente inutile. E quindi votare è inutile.
Un esempio lampante lo si vede a esempio sui territori, quelli che il Pd dovrebbe, nelle parole di vari commentatori, andarsi a riprendere e che invece non fa.
Le persone che vivono nelle città, oppresse da vari problemi come il mancato rispetto della legalità, i dehors abusivi, lo spaccio, le risse, l’immondizia e tanto altro si sono rivolte in primis ai partiti senza risolvere nulla.
Poi, si sono unite in comitati spontanei, nati dal basso. E attraverso di essi, volontariamente e gratuitamente, fanno politica. Combattono a suon di esposti, protestano, puliscono le strade da soli. A questo punto, a che serve la politica?
Il suicidio politico del Lazio
Sicuramente c’è rabbia verso la politica, ma forse meno di prima. Perché alla rabbia è subentrato un sentimento ancora peggiore, il distacco, l’indifferenza, nata dalla convinzione che la mia vita qui e ora comunque rimarrà uguale. Che ce la dobbiamo cavare da soli, con i mezzi che abbiamo.
Ovviamente, non tutta l’offerta politica è uguale e da questo punto è emblematico il dato del Lazio rispetto a quello della Lombardia. In questo secondo caso, un progetto politico c’era, c’era soprattutto un accordo tra forze politiche convergenti a livello ideologico e infatti il numero dei votanti è stato maggiore.
Nel Lazio, invece, si è scelta la strada del suicidio politico. I cittadini del Lazio sono stati di messi di fronte al dover scegliere tra due partiti che avrebbero dovuto trovare un accordo. La sconfitta era sicura.
A maggior ragione, perché votare? Lo ha fatto a esempio un romano su tre. E parliamo di una città che in genere ha una buona partecipazione politica. Una città di sinistra.
Politica, cambiare i contenuti ma soprattutto le forme
Ma allora che dovrebbe fare la politica per riconquistare consenso?
Paradossalmente, il problema non sta solo nei contenuti, anche se è ovvio che se il tuo contenuto di sinistra è uguale a quello della destra le poche persone che votano voteranno l’originale, ma anche nelle forme.
L’unico modo per riaccostare le persone alla democrazia sarebbe aumentare la possibilità che i cittadini possano dire la propria in maniera diretta e sulle cose che toccano la propria esistenza, come i referendum. Da questo punto è stato davvero grave che la Corte Costituzionale abbia escluso la possibilità di votare su temi come il fine vita: cosa c’è di più personale?
Servono i referendum chiari e con un obiettivo preciso, ma anche, per fare altri esempi meno conosciuti, le assemblee deliberative, quelle chieste da Extinction Rebellion e dove i cittadini possono dire ciò che vorrebbero. Può sembrare un’eresia, ma la democrazia rappresentativa oggi appare una mediazione che impedisce alle persone di dire la propria. Qualcosa che frena, un ostacolo invece che una forma appunto di rappresentanza.
Il dibattito sulle primarie del Pd da questo punto di vista è stato surreale, laddove si è cercato di vietare alle persone di votare on line. E proprio il voto on line è un altro punto: con una vita sempre più frenetica e digitale, è importante che le persone possano accedere al voto senza alcuna perdite di tempo e che lo possano fare on line, come appunto finalmente i referendum. Cabine nelle scuole, banchetti appartengono al passato, che possa piacere o no.
Servirebbe, inoltre, far conoscere meglio le forme della politica e i suoi compiti. Votiamo per le regionali senza sapere cosa fa la Regione, su cosa incide, quali commissioni ha, che cosa ha deciso negli ultimi cinque anni etc.
La scarsa conoscenza aumenta purtroppo la diffidenza. Bisognerebbe insegnare tutto questo nelle scuole, forse, visto che anche i giornali hanno abbandonato questo compito e al massimo si occupano del governo nazionale.
Le Regioni dovrebbero essere dunque massimamente trasparenti, invece fanno il contrario. Eppure in alcuni casi converrebbe anche a loro. Un esempio che riguarda la sanità: oggi spesso, in Lombardia che nel Lazio, si fa direttamente dai privati quando in alcuni casi sono meno convenienti.
Lo si fa perché le strutture pubbliche non pubblicizzano i propri servizi, anche quando non implicano una burocrazia schiacciante. Così le persone non li usano, anche perché, e questa è un dato tragico, oggi la maggioranza delle persone è convinta di non avere più diritti. Magari perché neanche non li conosce.
Chi è stato votato da pochi è legittimato a governare?
Infine, un’ultima riflessione occorrerebbe farla su quanto sia legittimato a governare chi è stato eletto con più del 50% di chi è andato a votare, se chi è andato a votare è meno di uno su due (e in alcune città, uno su tre).
Questo è un tema che si porrà sempre di più. Ma questa riflessione, di nuovo, non verrà dalla politica, a cui i quorum non hanno fatto mai comodo.
Fossero anche dieci elettori, si sentirebbero comunque vincenti. Oggi invece, la politica ha perso ancora, senza distinzione di bandiera e nessuno davvero dovrebbe esultare.
La società ha ancora una volta espresso il suo scetticismo, la sua indifferenza. E in questo modo, gridato il suo punto di vista con una chiarezza estrema. Qualcuno sarà capace di ascoltarlo e, soprattutto, interpretarlo?
Il dubbio è lecito. Ma il rischio che alle prossime regionali l’affluenza subisca un ulteriore, drammatico calo, è letteralmente dietro l’angolo.
Pubblicato su Lasvolta.it, 13 febbraio 2023
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