Il simbolo per antonomasia della settimana bianca è l’albergo.

Quello iper riscaldato quando fuori fanno ormai dieci gradi, quello con la testa di renna impagliata alla reception, quello che ti ingozza di carne di cervo la sera. E poi c’è il rito del bagnarsi nella piscina-pozza dopo lo sci muniti di bianco accappatoio, a cui nessun vacanziero bianco rinuncia anche se magari accanto all’albergo c’è una piscina pubblica fantastica al costo di pochi euro.

Il tutto, cioè l’albergo, per alcune migliaia di euro a settimana, anche 4.000 per una famiglia di quattro persone.

Chi vuole spendere un po’ meno, ed evitare l’ingozzamento serale di proteine animali, affitta un appartamento. Ma la spesa è sempre, almeno, di 1.000 euro, anche 2.000 se vicina alle piste e con qualche gadget in più.

Inoltre al supermercato in montagna pure i broccoli veleggiano sui 7 euro al chilo, per non parlare del pane, e alla fine per una settimana di cene e colazioni non te la cavi con meno di 200 euro. Per lo meno, però, senza carne di cervo.

Con gli stessi soldi un viaggio in Giappone

Ma se quando te ne vai in giro in Europa o nel mondo una volta che hai speso per la casa e il mangiare sei quasi a posto, in settimana bianca no.

La spesa deve ancora tutta iniziare. Lo skipass, oltre 300 euro a testa per sei giorni. Il 10% in più dell’anno prima, e senza neanche l’assicurazione per danni a terzi messa dentro (altri 3 euro al giorno, per quella).

Poi la scuola per i bambini, se li hai, sei giorni per circa 260 euro. Pranzo incluso per loro? Macché.

Per mangiare sono altre 72 euro, e parliamo di un piatto di pasta e un budino. E poi l’attrezzatura, quasi 500 euro per quattro persone. E se invece della scuola vuoi fare qualche ripetizione privata, perché magari sei un adulto un po’ arrugginito? Che problema c’è, 60 euro un’ora, 90 euro un’ora e mezzo e via. Alla fine, conti alla mano, con quanto spendi per la settimana bianca ci puoi andare in Giappone. O in America.

Paesini grigi, pendii secchi

Ma non è neppure quello il problema. È che si chiama settimana bianca qualcosa che non lo è più.

Ci vuole un occhio non troppo offuscato dall’ideologia borghese dello sci – quella per cui la settimana bianca va fatta, e poco importa se il mondo intorno è stravolto, lei è come un mistico luogo-non luogo – per vedere che la neve non c’è più.

In Alto Adige, a esempio, il tono predominante d’inverno è il grigio. I paesini con il campanile a punta, che serviva appunto a non far accumulare la neve, sembrano quartieri urbani. I pendii sono secchi, i prati sono secchi, le montagne pure, senza neve, solo sulla cima estrema. È una visione che agghiaccia e addolora. Ma se prendi la funivia e sali oltre 2.000 metri lo scenario cambia. Ti ritrovi in un enorme pandoro bianco, fatto di piste di ogni tipo che scendono da vari lati. Tutto è bianco, tutto torna, la crisi climatica è assente, le foto di rito perfette per i social.

Ma è un fake, perché stai quasi a 3.000 metri e la neve è sparata, anche. A febbraio si sciava quest’anno ancora su quella di dicembre ed è neve dura, che non ricorda quella fresca di decenni fa.

D’altronde, le Alpi si sono riscaldate velocemente negli ultimi anni, si scia in maglietta, anche se poi per le foto di rito tocca rimettersi tutta la tuta e pure la visiera arancione o blu che è perfetta sui social.

Sciare rischiando le gambe. O la pelle

Ma fosse solo questo. Fosse solo il costo abnorme, fosse il fatto che la neve non c’è più (e dunque l’acqua neanche, però la si usa per fare la neve per i pochi che ancora possono comprarsi lo skilift).

Il tocco che rende il “circo bianco” ancora più incomprensibile sono gli incidenti. In pratica, oggi si scia rischiando le gambe, in primis, la pelle, in secondo luogo.

D’altronde, se c’è sempre meno neve, le piste si riducono, ci si affolla tutti, tutti i borghesi, sulle stesse piste, la probabilità aumenta. E così ci si viene addosso a vicenda, anche perché sulle piste non ci sono segnali.

La storia non farebbe tanto ridere in sé: a esempio la sottoscritta è stata investita, da ferma, con conseguente frattura multipla della tibia altezza ginocchio.

Quando è successo, il dolore mi ha squassato la testa, ho implorato di chiamare i soccorsi mentre il maestro se ne stava lì senza fare nulla, ho chiesto per favore di mettere neve sul ginocchio per non impazzire.

Mi hanno presa con una motoslitta, buttata incellofanata nella funivia e portata al centro traumatologico delle piste.

Ne sono uscita con una diagnosi di frattura scomposta, un gesso lungo tutta la gamba, stampelle di scarsa qualità e 650 e passa euro di fattura, perché il soccorso sulle piste, ebbene sì, mi è costato 250 euro per pochi minuti (perché? Ero in territorio italiano).

Dovrò affrontare un lungo percorso di dolore e riabilitazione e appunto c’è poco da sorridere – sono stata investita pure da una senza assicurazione, perché tra le altre cose mancano i controlli per cui molti non la fanno – però un po’ anche sì. Davvero ha senso spendere migliaia di euro, per sciare su neve finta e avere la buona probabilità di essere accoppati?

Davvero facciamo questo, noi borghesi? Davvero abbiamo così paura di inventarci qualche altra cosa che non sia la settimana bianca, perché ormai non ha più senso, e continuiamo a intestardirci, a pagare, a sottrarre acqua ai campi e ad affollare i reparti di traumatologia nonché le costose cliniche dove poi ci operiamo?

L’ incapacità di immaginarsi un altro presente

Perché lo facciamo? È uno status symbol, certo. Ormai se vai in settimana bianca è come dire “ehi, lo sapete ho un super reddito” e poi il bambino col cappello con le orecchie sul casco che scende buffo buffo fa tanto tenerezza e sensazione di stare dentro una cerchia di vip. Infatti i vip sulla neve fanno proprio le stesse foto che facciamo noi.

Ma quando ci si comincia pure a spaccare le rotule? A scontrare? A spaccare le spalle e magari pure peggio? La paura aumenta ma la forza del sentirsi parte di un gruppo, l’alta borghesia delle nevi, è troppo forte.

È il conformismo. È la paura di immaginarsi in un altro luogo. Magari con gli scarponi ai piedi – non le ciaspolate a novanta euro al giorno, equivalente borghese dello sci per le signore che non sciano – proprio gli scarponi per le passeggiate nei boschi.

Era bello e commovente lo sci di un tempo, bambini coi passamontagna di acrilico sui piccoli impianti dell’appennino a poche lire. I bambini che andavano sullo slittino, oggi praticamente considerato una cosa vergognosa, da povero, la neve non è più palle di neve e gioco, per tutti, democratica.Anche la neve è diventata specchio della nostra società. Ormai è solo per pochi. 

Ma i meno ricchi stavolta forse possono quasi rallegrarsi. Forse non la neve, purtroppo, ma la natura è tutta per loro, mentre quelli del ceto medio riflessivo lassù continuano a darsi capocciate in pochi metri quadri, sotto i loro caschi high tech. E continueranno a farlo, fino a che non saranno talmente stretti da guardarsi in faccia e provare paura.

Perché un futuro diverso non siamo, non sono stati capaci di immaginarselo. Mentre chi, sotto, silenziosamente, batte i sentieri insieme ai figli, facendogli scoprire foglie, funghi, facendogli ascoltare la natura che soffre ma che ha ancora tanto da dire, sarà già chilometri avanti lungo la strada da fare.

Che è solo una, altra non ce n’è.

Pubblicato su La Svolta.it, marzo 2023

Foto di David da Pixabay

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