Sono arrivate a 100.000 le firme per protestare contro il divieto di entrata nella cosiddetta Ztl Fascia verde di Roma. Ben 51 nuovi varchi per evitare l’ingresso in un perimetro molto esteso (21 chilometri) alle auto euro 0, 1 e 2 benzina e 1,2,3 diesel (anche diesel 4 dal novembre 2023 e un anno dopo gli euro 3 benzina).
Si tratta di una tappa in teoria obbligata per ridurre i livelli di biossido di carbonio e CO2 e di cui Roma ha estremamente bisogno, visto che l’inquinamento è sempre elevato e ha conseguenze dirette e micidiali sulla vita delle persone.
Ma a chi abita fuori dalla nuova zona e deve venire a Roma a lavorare di questo poco importa. E giustamente perché ci si può permettere il lusso di pensare al taglio delle emissioni solo dopo che il lavoro, e la possibilità di arrivarci, è garantita e scontata. Come non si preoccupa delle emissioni chi ha perso il lavoro perché il proprio settore industriale è destinato a finire a causa di una riconversione in senso ecologico.
Proteggere la salute di tutti. Che però non sono uguali
Tornando a Roma: la raccolta firme, che era facile aspettarsi, ha gettato nel panico l’amministrazione, che ora sta cercando rimedi: deroghe per i furgoni dell’audiovisivo, per i furgoncini delle imprese, forse per i lavoratori a basso reddito. Ma tutto si potrà fare se le emissioni lo consentiranno e infatti è stato chiesto un ricalcolo, sperando che la bassa accensione dei riscaldamenti abbia portato a una riduzione.
Insomma, un pasticcio. Anche la possibilità di regalare l’abbonamento Atac per autobus e metro è stata accolta con ilarità. Provare a entrare a Roma con i mezzi pubblici a una distanza elevata significa impiegare anche un paio d’ore: la metro non esiste, non si tratta di una soluzione in nessun senso.
L’esempio della Ztl romana è piccolo, ma emblematico. Si è giustamente presa una decisione per proteggere la salute di tutti ma senza tener conto che quei tutti non sono uguali. C’è chi ha più mezzi, in questo caso economici, anche per cambiare macchina e chi no. S
i sarebbe dovuto pensare a un sistema vero e massiccio di trasporti. Ma siamo nella città che si prepara al Giubileo conpoche linee di metro affollatissime dove si entra a spintoni, in cui gli autobus continuano a prendere fuoco, in cui i pochi e vecchissimi tram rischiavano di deragliare dai vetusti binari (e infatti sono stati fermati).
Una società più ecologica è più democratica. In teoria
Il tema, però, è un altro. Quello della transizione ecologica giusta, che renda migliori le condizioni di vita di chi sta peggio. Sulla carta così dovrebbe essere, basti pensare a come la mancata decarbonizzazione e lo scarso investimento sulle rinnovabili degli ultimi 10 anni abbiano prodotto quelle bollette monstre che hanno messo in ginocchio piccole imprese e famiglie del ceto medio e medio basso. A come la crescita delle temperature colpisca i più fragili che non possono lasciare le città d’estate, mentre l’inquinamento danneggia i bambini che abitano nelle zone esposte.
Una società più ecologica è una società dove anche i meno abbienti vivono meglio, dove anche questi ultimi hanno accesso a servizi, cibo, case salubri a piccoli prezzi.
Il nuovo mercato green. Per ricchi
La realtà invece è un’altra.
Mentre la vera transizione ecologica annaspa, si è creato nel frattempo un nuovo mercato che offre soluzioni verdi e all’insegna della salute, ma solo ai benestanti.
L’esempio più emblematico ovviamente sono le macchine elettriche, che ancora hanno costi elevatissimi, mentre scarseggiano i modelli economici e piccoli da città.
Si è sviluppato contro le auto elettriche un vero odio da parte di un segmento della società. Il leitmotiv è che inquinano e che sono imposte dalla nuove lobby (vedi Elon Musk). Ma ancor più il tema vale per le abitazioni: quelle più ecologiche sono le più care.
Nel Paese dove non esiste alcuna politica per la casa per le persone povere, queste vanno a vivere in aree più disagiate e inquinate, mentre i nostri architetti disegnano boschi verticali a Milano (promettendo però di fare housing sociale, sì, ma in Olanda).
Anche nel settore vacanze si è sviluppato un turismo di lusso green, perché green è il nuovo chic. Niente albergoni con condizionatori a vista, i nuovi eco-alberghi costano di più e sono ventilati naturalmente, hanno grandi giardini e piante e prodotti per il corpo naturali e bio.
Il capitalismo verde non riduce emissioni
Le conseguenze, però, sono 2: una società spaccata da un lato, dove c’è chi giustamente annaspa per andare a lavorare e chi vuole, altrettanto legittimamente, divieti ancora più aspri per eliminare macchine inquinanti e avere un’aria sana. E la crescita di un capitalismo verde destinato ai più ricchi che però non riduce in alcun modo le emissioni. È solo un nuovo mercato. Così le emissioni aumentano, con conseguenze sui cittadini più poveri, necessità di decisioni ancora più drastiche che, se non preparate, andranno a incidere ancora sui più poveri.
Come se ne esce? Con una parola magica che in Italia non esiste. Pianificazione. Le misure della transizione devono essere preparate anni prima. Richiedono una visione di lungo periodo, perché il cambiamento è faticoso, complesso, con possibili ricadute appunto sui più deboli. Soprattutto sul piano industriale, è necessario che chi perde un posto di lavoro per la transizione siano offerti ammortizzatori e un’alternativa. Che, magari, passi da una nuova formazione, tema chiave e fondamentale per ogni trasformazione strutturale.
Ma con Governi che cadono ogni 2 anni, amministrazioni comunali che pure cambiano colore ogni volta, e una cronica incapacità della nostra politica di pensare lungo questo appare quasi impossibile.
Come se ne esce? Con la pianificazione
La soluzione è sempre un compromesso a ribasso: si chiede più tempo per le misure del Pnrr, si decide di rivedere alcuni target, si cercano modi per modificare i parametri in senso meno severo con buona pace della salute. Così accadrà a Roma e così anche a livello nazionale.
Alla crisi climatica ovviamente non interessa tutto questo e continuerà ad avanzare, esacerbando le sue conseguenze sui meno abbienti. Mentre nel frattempo il capitalismo si organizzerà sempre più sistematicamente per fornire prodotti e servizi verdi ai benestanti, incurante, per sua natura, di ogni possibile idea di redistribuzione.
L’ultima conseguenza è più grave ed è politica: se chi ha pochi soldi non vede i benefici della transizione, se la subisce unicamente come una tagliola che aggrava la sua possibilità di spostarsi e accedere a beni e servizi, questo aumenterà il conflitto sociale, la rabbia, il disincanto verso chi porta avanti i temi del contrasto alla crisi climatica.
E non è un caso, infatti, che nel nostro Paese abbia vinto il centro destra e non ci sia un partito verde. Perché nessun partito è stato capace di presentare la transizione come una straordinaria opportunità, soprattutto per i meno abbienti, rassicurandoli sul fatto che non si sarebbe tradotta in un peggioramento delle condizioni di vita. Così salgono al potere Governi eco-scettici che rallentano la transizione. E, appunto, siamo di nuovo in un circolo senza uscita.
La Svolta.it, maggio 2023