Strategie genetiche per tempi difficili. In uno zoo del Costa Rica è nata una coccodrillina identica a sua madre (99,9% dei geni). Il fenomeno si chiama partenogenesi e secondo gli esperti esiste in varie specie di animali, ma non era mai stata osservata in un coccodrillo.
La partenogenesi però non rappresenta la normalità, è qualcosa che accade in specie a rischio estinzione oppure in cattività perché normalmente l’intelligenza degli animali spinge questi ultimi alla diversità, dal momento che la varietà è maggiormente protettiva.
C’è da aspettarsi, dunque, che esista qualche legame tra i cambiamenti climatici che sottraggono risorse e riducono la biodiversità e fenomeni come questi.
Quell’ossessione per la salute che non tiene conto dell’ambiente
L’episodio sarebbe curioso e divertente se appunto non ci ricordasse che può esistere un legame tra crisi climatica e cambiamenti genetici. Il che, in generale, ci fa riflettere su un tema tanto fondamentale quanto forse negletto, ovvero il rapporto strutturale tra crisi climatica e salute umana e l’approccio cosiddetto “one health”, quello che lega il nostro benessere anche e soprattutto all’ambiente circostante.
Una piccola riflessione sul tema della salute: è stupefacente vedere quanti magazine esistano che se ne occupino e come l’editoria, ormai, regge i suoi bilanci su questo tema, tra libri su diete, stili di vita e altro ancora. Siamo concentrati sul nostro fisico, facciamo la prevenzione, ci controlliamo sistematicamente e minuziosamente (non tutti ugualmente, ma per tutti la salute è la prima cosa), ma tendiamo a ignorare sistematicamente quanto l’ambiente in cui viviamo possa essere patogeno.
Dalla qualità dell’aria di casa ai materiali con cui è fatta, dai detersivi che usiamo alle sostanze contenute nell’aria del nostro quartiere e della nostra città. Non sappiamo se vicino a noi ci siano discariche, o dell’amianto abbandonato. Usciti dalla porta di casa, il controllo si azzera, come se la salute fosse un fatto privatissimo.
Perché ci sentiamo in colpa quando ci ammaliamo
Il nostro comportamento, per certi versi, ha un senso, cosa possiamo fare d’altronde sulla qualità dell’aria della nostra città? Ci possiamo controllare con una ecografia, non possiamo far scendere le polveri sottili. Vero. Ma in genere la medicina ambientale è un tema veramente negletto, se ne parla pochissimo e di conseguenza ne parliamo pochissimo.
Ne parlano pochissimo anche i medici. Nella mia vita di madre, a esempio, avrò fatto decine e decine di visite per le più diverse patologie ma nessuno specialista mi ha mai chiesto dove vivessi, a che piano, se il mio appartamento si affacciasse su una strada. Così quando ci ammaliamo, continuiamo a chiederci il motivo e spesso ci colpevolizziamo con frasi del tipo: “non sono dimagrita, non ho mangiato abbastanza bene” e via dicendo. E magari viviamo in un palazzo che ha ancora l’amianto sul tetto.
Se ci si concentrasse di più non solo sulle terapie ma anche sulle cause delle malattie, forse saremmo costretti a prendere atto del ruolo dell’ambiente in cui viviamo e quindi a occuparci anche di cambiamento climatico.
Pandemia e distruzione degli ecosistemi, il legame rimosso
Ma la più grande amnesia sul rapporto tra ambiente e salute ce l’abbiamo alle spalle. Qualcosa di enorme che l’umanità ha affrontato uscendone incredibilmente ignara. Come se nulla fosse accaduto.
Mi riferisco ovviamente alla pandemia. Sono stati pubblicati vari libri in cui si spiegava il fenomeno dello “spillover”, come quello, il più noto, del giornalista David Quammen. Il salto di specie, favorito dalla deforestazione e dalla distruzione degli ecosistemi, oltre alla globalizzazione selvaggia, alla vita in metropoli affollate, agli allevamenti intensivi e al traffico di animali selvatici. Così nascono le pandemie.
Il mondo ha speso migliaia e migliaia di miliardi per i vaccini (giusto, senz’altro) senza occuparsi però delle probabili cause della pandemia. Siamo stati vaccinati ma l’ambiente che ci circonda non è stato messo in sicurezza. Esternamente, nulla è cambiato, il che ci rende esposti a un nuovo contagio.
Forse è più facile concentrarsi sui sintomi che provare a capire come si sviluppa una malattiae quanto spesso sia connessa con il mondo esterno.
Occuparsi delle cause ambientali è complesso e soprattutto ci obbliga a scontrarci con gli interessi e le resistenze più feroci e svariate. Basti pensare a quanto è difficile riuscire a far risarcire famiglie distrutte da fattori palesemente esterni, come appunto l’amianto. Figuriamoci quanto il fatto non si vede, è diffuso sul territorio, o consiste in un aumento delle temperatura generalizzato.
Un immaginario (sbagliato) fatto di macchinari e camici bianchi
Fino a quando non accetteremo che le cause del nostro star male sono anche esterne, e che per questo non le controlliamo come vorremmo ma che dovremmo occuparcene altrimenti, vorrà dire che non avremo ancora capito che siamo creature naturali, e che dalla natura dipendiamo in tutto e per tutto.
Finché penseremo che la salute equivalga a centri iper specializzati, ecografi di ultima generazione e non, anche e soprattutto, a un’aria senza inquinanti, alberi sufficienti per respirare e assorbire la CO2, un’acqua abbondante, salubre, cibo non contaminato da pesticidi di ogni tipo e dalla plastica, finché non cambieremo, letteralmente, il nostro immaginario sulla salute, fino ad allora la crisi climatica resterà qualcosa di estraneo.
Un tema estremamente tecnico, per esperti, che ci riguarda sì, ma soprattutto come causa di emergenze e non tanto delle nostre patologie croniche e non.
Legare ambiente e salute, parlare di medicina ambientale, indagare le cause esterne delle malattie di cui ci ammaliamo è qualcosa di fondamentale e che chi si occupa di comunicazione dovrebbe sempre più fare.
Perché come ci insegna la vicenda della coccodrilla nata per partenogenesi, la riduzione della biodiversità può incidere persino su ciò che partoriamo. È un’immagine forte ma realistica. Cominciamo a utilizzarla per un nuovo immaginario, dove il simbolo della salute non dovrebbe più essere un camice bianco. Bensì una foresta.
La svolta 12 giugno 2023