Le chat dei genitori diventano bollenti già a maggio. “Conoscete un centro estivo dove si possa stare a contatto con la natura e fare attività, magari in inglese?”.
Richieste simili non sono poi così strane, perché ormai l’ansia dei genitori di utilizzare le vacanze come momento di apprendimento, delle lingue in particolare, è trasversalmente diffusa.
I centri estivi si adattano alle nuove esigenze dei genitori. Così a fianco della natura, in qualche modo presente, che sia un parco in città, il lago, o il mare, sviluppano un calendario fittissimo fatto soprattutto di sport e, appunto, di attività linguistiche. Vela in inglese. Laboratori artistici nel verde in francese.
In alcuni casi è possibile aumentare sia la tipologia di corsi fatti – a uno sport principale se ne possono affiancare altri, il numero di ore di lingua può essere aumentato – fino a che la giornata sia completa di attività organizzate.
Anche nelle strutture più semplici e più a portata di portafoglio (i corsi estivi ormai costano almeno 150 euro a settimana in città, minimo 400-500 fuori città, e durando le vacanze estive tre mesi questo è un problema per moltissime famiglie) il programma è comunque improntato a sport e laboratori di ogni genere, con le due ore di lingua quasi immancabili.
Estate come prosecuzione dell’anno scolastico
Inutile girarci intorno: certamente si tratta di attività positive, dallo sport all’inglese o al francese o quello che sia.
L’elogio della noia lunga tre mesi ha poco senso, visto che tra l’altro, ormai significa lunghissime ore attaccate ai dispositivi elettronici, in assenza di giardini, cortili e, soprattutto, fratelli e amici.
Quello che però è possibile notare è che di fatto l’estate ormai si caratterizza come una identica prosecuzione dell’anno scolastico. Inzeppato di attività di ogni tipo, dallo sport, alle lingue, alla musica. Da questo punto di vista, ormai, la situazione appare un filo fuori controllo, se è vero che ci sono ragazzini che non hanno neanche un pomeriggio libero. E troppe volte mi è capitato di vedere occhi di bambini che avrebbero voluto giocare insieme e invece non potevano perché era il giorno del judo, del nuoto, del violino di cui magari mai si sono appassionati. Ma almeno l’estate dovrebbe rappresentare un po’ di discontinuità rispetto a questo modello.
La natura? Un contorno senza vita
Ovviamente esiste per i genitori un gigantesco problema organizzativo, ma se si cominciassero a scegliere e premiare attività un po’ diverse forse anche chi propone questi corsi cambierebbe.
Anzitutto, la natura in questi posti è semplicemente un contorno, una sorta di presenza inutilizzata che rende più bello e forse salutare il luogo dove si svolgono le attività. Ma non c’è vera interazione, è una sorta di contenitore, appunto, un po’ come lo era l’edificio scolastico.
In secondo luogo, davvero c’è da chiedersi perché dei bambini o dei ragazzini debbano fare quattro ore di sport e due di lingue al giorno, oppure sport fatto in lingua. È quello che gli serve?
E se avessero soprattutto bisogno di stare insieme, creando liberamente esperienze attraverso il gioco libero, e interagendo, realmente, nella natura? Chi organizza questi centri, ormai un vero e proprio business, risponderebbe che non può certo presentare ai genitori giornate “vuote”, con su scritto solo “gioco libero”. Eppure sarebbe quello che servirebbe. E magari costerebbe anche molto meno. Anche i campi delle associazioni ambientaliste, va detto, pur essendo molto belli e spesso centrati non tanto sulle lingua, ma a esempio sulla scoperta della natura, restano all’interno dello schema “attivistico” a tutti i costi. E poi, va detto, i costi sono veramente elevati e alla portata non certo di tutti.
Rispolverare il modello scout
Esperienza alternative ci sono. Basti citare gli intramontabili scout. Certo, l’inquadramento religioso, la divisa etc magari non sono per tutti (i genitori), ma se volessimo cercare un esempio di vacanze dove davvero la natura è protagonista e dove l’interazione, basata su precise regole e doveri, fa da padrone è proprio quello.
Campi che costano veramente poco, e da cui bambini e ragazzi escono avendo imparato molto e con la natura veramente nelle ossa. Mi ha colpito di recente anche una locandina di Amnesty International, che organizza campi dei diritti umani. Dove si studiano, sempre fuori città, cosa sono i diritti umani, cosa significa diventare un attività per i diritti e così via.
Certo, si tratta di attività riservate sempre a una piccola percentuale di famiglie, anche perché comunque costosi, ma leggere un programma diverso è stata una boccata d’ossigeno. Perché appunto non parlare di cose serie? Perché invece puntare sempre sull’intrattenimento e sull’individualismo, anche, perché di fatto il modello “sport e lingue” quello propone ai genitori, un figlio più in forma, più performante, non un figlio che abbia appreso, a esempio, come si sta insieme.
Insomma, forse ci servirebbe, e servirebbe ai nostri figli, qualcosa di diverso. Partendo dal fatto che per loro il piacere è stare insieme, e poco importa la miriade di attività che vengono organizzate. In genere, i momenti migliori sono quelli a margine, quando sono liberi, quando possono intrecciare pensieri, parole e giochi.
Meglio un campo emozionante che uno performante
Anche il rapporto con la natura è migliore quando viene svincolata dalle tabelle che scandiscono le attività. Diventa finalmente una presenza viva, nella quale stare in libertà, appunto, dove scoprire senza indicazioni dall’alto. Un luogo non da usare per questa o quella cosa da fare.
Se rovesciassimo questo modello, forse potremmo avere centri o colonie, comunque li si voglia chiamare, che durino di più, due settimane, o perché no un mese. In posti meno “fighetti”, con meno attività e meno sport talvolta costosi.
Centro, campi etc dove si possano appunto anche apprendere cose diverse e dove, sempre sul filo del modello scout, siano i bambini e ragazzi a fare le cose, e non sempre qualche organizzatore, mentre loro restano meri esecutori.
Più spazio vuoto, cioè più libertà, aiutando i bambini a interagire con regole ma senza che tutto sia, appunto, organizzato. Questo modello ancora non c’è, a parte gli scout, oppure è poco diffuso, a parte campi per i più grandi che si incentrano sul volontariato, quelli veri, però, non quelli che fanno pagare campi di volontariato a prezzi stellari.
Però forse, dobbiamo dirlo: un campo inzeppato di attività che dura pochi giorni lascia poche tracce su un bambino o ragazzo.
Un campo meno costoso ma disteso su un tempo lungo, con meno cose da fare e però alcuni doveri come apparecchiare, pulire o prendersi cura di qualcosa o qualcuno (perché per esempio non fare campi in cui bambini con disabilità interagiscano con bambini non tali?), in un luogo poco conosciuto ma comunque legato alla natura, ecco questo cambierebbe molto. Anche la vita dei genitori.
E forse non ci vorrebbe molto, a patto di abbandonare tutti la mentalità competitivo-individualistica che spinge tanti di noi a scegliere il campo estivo più performante. Non quello realmente più emozionante, intendendo per emozione non l’eccitazione; ma qualcosa che ti resta, poi, nel profondo.
Pubblicato su La Svolta 10 luglio 2023