L’elefante nella stanza. Non altrimenti si potrebbe definire quello che rappresenta uno dei più evidenti ed enormi problemi del nostro Paese, ma che, nonostante la sua enormità, viene completamente e sistematicamente ignorato: la questione della qualità dell’aria nelle scuole e, soprattutto, del caldo.
In questi giorni le temperature sono scese, ma non è detto che non si rialzino.
Fino al 20 settembre circa, in ogni caso, in buona parte dell’Italia le temperature sono state superiori ai trenta gradi. E ormai trenta gradi li abbiamo già a maggio, mentre giugno talvolta è ancora più caldo.
Se immaginiamo istituti fatiscenti, classi piccole, magari con 25 o più alunni, con finestre grandi e magari senza tende, possiamo immaginare la situazione letteralmente esplosiva che si viene a creare. E gli insegnanti confermano. Costretti a fare lezione in aule arroventate, si ingegnano come possono, porte aperte, ventilatori. Ma le temperature quelle restano.
Fondi per acquistare tablet. Ma non per rinfrescare
Alle scuole sono arrivati moltissimi fondi per acquistare dispositivi elettronici che non servono all’apprendimento.
Inoltre, i fondi del Pnrr per le scuole, parzialmente stralciati per asili e materne, non prevedono la dotazione di aria condizionata delle scuole, ma sono focalizzati sulle messa in sicurezza e su altri aspetti che riguardano l’edilizia scolastica.
Non si pongono cioè il problema della qualità dell’aria né tantomeno del condizionamento. Eppure sono aspetti fondamentali, che si potrebbero e dovrebbero risolvere dotando le aule di meccanismi di ventilazione e purificazione, di cui tanto si era parlato durante il Covid-19 e che impediscono anche la diffusione di germi e virus, e al tempo stesso deumidificatori e condizionatori.
Perché non è possibile fare lezione quando le temperature sono sopra i 25 gradi (che non è comunque affatto poco in spazi chiusi e poco ventilati).
Bambini disidratati e senza concentrazione
Diversi studi hanno dimostrato l’effetto del caldo sui bambini: non solo disidratazione, i bambini si disidratano molto più degli adulti, ma anche danni sulla salute mentale, incapacità di concentrazione, a esempio. Ed è abbastanza intuibile che non ci può essere benessere se a scuola hai 33 gradi ma la scuola non prevede nulla per raffreddare i corpi dei bambini e degli insegnanti. È sconcertante, ripeto, quanto questo tema sia poco sentito. La politica non ne parla, men che meno i giornali. E purtroppo, va detto, non mi sembra che i sindacati si concentrino su questo tema.
Il caldo come grimaldello per non aprire le scuole più a lungo
C’è poi un altro effetto paradossale. La questione caldo viene usata come il motivo fondamentale per cui non si possono estendere le lezioni fino a fine giugno o tenere aperte le scuole d’estate. Gli insegnanti si oppongono a questa ipotesi proprio sulla base del caldo torrido e hanno anche ragione. Ma come ho avuto modo di scrivere i due temi, vacanze troppo lunghe e caldo, devono essere tenuti separati. Non possiamo usare il caldo come motivo per chiudere le scuole, piuttosto dobbiamo usarlo come motivo per esigere condizionamento nelle aule scolastiche.
Perché manca la protesta sul caldo nelle scuole
Vedo anche poco interesse sul tema da parte dei genitori, che pure vedono i propri figli a settembre tornare fradici di sudore.
Non vedo cioè, mi spiego meglio, scioperi, manifestazioni, proteste che invece sarebbero veramente fondamentali per portare all’attenzione pubblica questo problema. O forse si tratta solo di disincanto e scetticismo.
Alla fine, come sempre, i genitori più avanguardisti fanno le battaglie per il proprio singolo istituto, e magari ottengono anche qualcosa, sempre a spese proprie visto che ancora ci sono scuole che chiedono persino la carta igienica ai genitori.
Resta l’amarezza di vedere l’intero spettro politico e anche mediatico indifferente al tema. Dei bambini, si sa, frega poco a chi decide. Sono pochi, non votano. E nonostante siano la cosa più preziosa che abbiamo, vengono ignorati. E viene ignorata persino la loro salute.
Pubblicato su La Svolta.it, del 25 settembre 23.
Foto di Monoar Rahman Rony da Pixabay