Quando, nell’aprile 2019, ci fu l’incendio della cattedrale di Notre Dame, a Parigi, l’architetto specializzato in bioedilizia Egidio Raimondi scrisse un duro editoriale sul numero 116 della rivista Bioarchitettura. Parlando dei progetti per la ricostruzione mandati dalle più varie archistar, Raimondi notò che si trattava di una vero e proprio “catalogo da falò delle vanità”.
“Abbiamo visto una serra con vegetazione rigogliosa, un tetto in vetro compresa la guglia all’incrocio tra la navata il transetto, ancor più alta di quella andata perduta, una copertura interamente costituita da vetrate artistiche colorate, una copertura in vetro con la guglia in pietra, una guglia alta centinaia di metri, accentuata da un fascio luminoso per ‘unire cielo e terra’ una guglia decostruttivista, un giardino pensile con finalità didattiche, una scultura ‘fiammeggiante’ al posto della guglia per lasciare a futura memoria l’immane tragedia, un letto interamente coperto di luce”. E questo solo per limitarsi agli studi internazionali più noti.
Progetti che, secondo Raimondi, non facevano che dimostrare “l’autoreferenzialità che assilla gli architetti e uccide l’architettura, ormai pensata solo per essere fotogenica e congeniale alle riviste patinate del settore o ai portali web di tendenza”. È pur vero, nota sempre l’architetto, che i francesi hanno spesso inserito elementi nuovi in contesti esistenti, ma era cosa diversa dalla provocazione fine a se stessa, dal cambiamento a tutti i costi: un continuo, inutile “upgrade”. Per esempio, fare entrare luce nella cattedrale per secoli buia rappresentava una violazione della storia, visto che per i fedeli quel buio aveva sempre avuto un senso.
Quel Bosco Verticale è ciò che non ci serve
È un parere interessante che fa riflettere sul fatto che spesso anche gli architetti consapevoli della necessità di strutture e materiali ecologici, professionisti che si definiscono green e progettano edifici sostenibili, spesso in realtà pensano e agiscono in maniera non realmente eco-friendly. Perché, in primo luogo, non è vero che ciò che è bello è sempre sostenibile. E soprattutto, come argomenterò nella seconda parte, sostenibile deve essere per forza democratico e accessibile, ovvero inclusivo.
Il problema sono soprattutto le strutture private, quelle non accessibili a tutti: mega progetti fatti di vetro e legno, spesso esteticamente perfetti ma, ripeto, sostenibili solo a parole. Il classico esempio è il Bosco Verticale progettato ormai qualche anno fa da Boeri, un esempio apparentemente virtuoso di riforestazione urbana che ha vinto numerosi premi internazionali. Ma, come ha scritto l’artista Fabrizio Bellomo sulla rivista Artribune, “combattere il cambiamento climatico attraverso la piantumazione di alberi sui balconi di grandi grattacieli di cemento armato rimane un’abile operazione comunicativa”.
Certamente si tratta di una costruzione che produce paesaggi fotografabili e condivisibili, ma non genera, nota l’artista, alcuna ambiente pubblico. “Come se si sostituisse all’idea di bellezza quella di spettacolarità e l’effetto alla verità”.
La critica si fa provocazione: “Per effetto il boschetto di Rogoredo, piazza di spaccio dell’eroina, rimane pur sempre un ambiente da vivere, il Bosco Verticale no”.
Perché il lusso non è sostenibile
A rifletterci bene, poi, come notano in altri, i boschi verticali non esistono in natura, perché sono orizzontali. Insomma è realmente ecologico un approccio che costringe gli alberi a stare appesi sui balconi a quasi cento metri di altezza? Resta infine un edificio unico, che spicca per la sua originalità, ma del quale forse la città non aveva alcun bisogno.
Ma il discorso si allarga a tutti gli edifici privati come le ville dei ricchissimi o gli alberghi a 5 o 6 stelle sparsi nei luoghi più esotici del mondo. Sono spesso costruzioni bellissime, con materiali naturali, inserite nel paesaggio in modo da non essere troppo visibili. D’altronde nessuno vuole più costruzioni pacchiane in marmo, oro o prive di verde, casomai ville arricchite da legno e materiali sostenibili con piscina integrata nel paesaggio e molta vegetazione intorno. Strutture in teoria bellissime ma non per questo sostenibili. Come non lo sono gli alberghi per ricchissimi messi su atolli o all’interno di foreste incontaminate, pur essendo certamente disegnati dall’archistardel momento.
Il lusso, in sé, non è quasi mai sostenibile, pure se utilizza i materiali più ecologici del mondo. Lo stesso vale, anche per le infrastrutture per la mobilità, spesso enormi e suggestive (pensiamo ai ponti). Ma anche alle grandi opere legate a eventi come Olimpiadi, Giubilei, Expo, Mondiali. Anche qui spesso i progetti sono firmati da architetti di grido, anche qui non sempre si tratta di costruzioni sostenibili.
Sostenibile è semplice
Forse, a rifletterci bene più che al concetto di bellezza, alla sostenibilità dovremmo cominciare ad associare il concetto di semplicità. Sostenibile non è per forza bello, ma semplice. Una semplice casa in legno o in paglia, costruzioni che costano pochissimo e che potrebbero arginare la fame di case e la disperazione di chi non ha soldi per comprare appartamenti cittadini, non le definiremmo necessariamente bellissime, forse suggestive. Eppure sono l’emblema della sostenibilità, più del maxi edificio in vetro e legno, di cui forse non abbiamo necessariamente bisogno.
È un po’ come la questione della macchina elettrica: quelle da 50.000 euro in su possono apparire macchine perfette. Ma non sono sostenibili, vista la quantità di materiali che richiedono e le emissioni che comunque producono in fase di costruzione. Piccole macchine elettriche, scatolette semplici da poche migliaia di euro saranno forse meno belle, ma sicuramente più sostenibili. Eppure non vengono prodotte.
Questo vale per tutto, dall’architettura degli interni ai vestiti. Sostenibile è semplice: non ciò che è lussuoso, dunque magari bellissimo, ma comunque insostenibile.
Sostenibile è solo ciò che è democratico
Ma soprattutto c’è un secondo aspetto, ancora più importante. Sostenibile è solo ciò che è accessibile a tutti. Inclusivo. Democratico. Se dunque pure il maxi grattacielo verde, per citare sempre Boeri, fosse pure a emissioni zero, tutelasse la biodiversità ancora non sarebbe comunque sostenibile perché è accessibile solo a chi ha molti soldi. Ai super ricchi. Questa non è sostenibilità.
Sostenibilità ambientale, accessibilità sociale ed economica dovrebbero andare di pari passo. Sostenibile è una casa in cui anche chi ha pochi mezzi può entrare. E non deve essere una casa di cemento armato che trasuda formaldeide, come la bioarchitettura spiega. Ci sono case semplici, diremmo umili se non fosse un aggettivo screditato, che sono ecologiche, naturali, salutari e al tempo stesso accessibili a ogni tasca.
L’idea che si possa fare un lusso sostenibile andrebbe archiviata perché non c’è vera sostenibilità, ripeto, che non si sposi con il fatto che tutte le persone, anche quelle meno abbienti, possano usufruirne. Dagli edifici privati a quelli pubblici, conta la salubrità dei materiali, il loro essere ecologici così come il fatto che possano essere fruiti da tutti.
In questo senso, andrebbe rilanciata con forza la vera edilizia pubblica. Sia quella per case popolari da fare qui, sostenibili, economiche, che possibilmente riducano al massimo l’ulteriore consumo di suolo attraverso il cemento (oppure si potrebbero ristrutturare e riqualificare le tantissime vuote), che per gli edifici pubblici comuni. Ma non stadi da calcio, o ponti, o l’ennesima sfilza di padiglioni. No. Servirebbero biblioteche sostenibili, piazze condivise sostenibili, impianti sportivi pubblici sostenibili, come accade in Germania e in Francia, dove ogni quartiere ha il suo piccolo parco con verde, campo da basket, da ping pong e così via; parchi pubblici dove far giocare i bambini. Luoghi che in Italia sono brutti e abbandonati, quando ci sono. Di questi luoghi avremmo bisogno.
E certo che devono essere belli, la bellezza è importantissima, e certo che devono essere costruiti in maniera sostenibile. Ma sicuramente non servono archistar, basta che siano luoghi aperti, belli quanto basta e accessibili a tutti, per ricostruire una socialità distrutta da un sistema che ci vorrebbe tutti separati, uno sopra l’altro in appartamenti di lusso a 7.000 euro al metro quadro. Magari con i balconi coperti di piante e uccellini che cantano. Il volto suadente del capitalismo green.
La Svolta, 6 novembre 2023