L’altro giorno ho ricevuto su WhatsApp l’ennesimo messaggio del mio comune (Roma, ma potrebbe essere anche un’altra città), in cui il sindaco annuncia pomposamente la prosecuzione “del piano di messa a dimora di oltre 5.600 alberature”.
L’obiettivo? “Compensare gli abbattimenti necessari, restituire bellezza e migliorare la qualità ambientale nei quartieri, contribuendo a adattare la città al cambiamento climatico”.
Un cittadino comune potrebbe pensare: “Che bello, ripiantano alberi, finalmente. Che bello, contrastano la crisi climatica, finalmente”. Ma in quel messaggio, invece, ci sono parecchie zone d’ombra, oltre ad affermazioni non del tutto vere.
Anzitutto, non viene specificato quanti alberi verranno abbattuti. Forse, sapendo il numero, l’allegria sarebbe parecchio scemata. La dicitura “abbattimenti necessari” nasconde poi un vero e proprio mondo. Chi ha stabilito che fossero davvero necessari? Si dà per scontato che sia facile e immediato capire se un albero debba essere abbattuto o no. Non è così. Pochi minuti, e nessuno strumento, per decidere se una pianta è malata (e incurabile).
Cosa succede oggi, esattamente?
Ebbene, i comuni ormai affidano a ditte esterne e ad agronomi le cui competenze non sempre sono chiare la decisione di abbattere o meno. Ma questi ultimi, quasi sempre, decidono solo in base a un’analisi visiva, la cosiddetta V.T.A., che viene pagata pochissimo. E così, spesso l’agronomo è portato a un giudizio più che frettoloso. Non solo. Se il Comune vuole assicurarsi soprattutto che l’albero non cada, l’agronomo dovrebbe fare ben altre prove per saperlo davvero, come le trazioni, che costano molto di più: è quindi portato a propendere per l’abbattimento per non avere problemi, tanto se abbatte una pianta sana nessuno gli dirà nulla, perché non ci sono vere e proprie sanzioni.
Sono tantissimi ormai i cittadini, esasperati dagli abbattimenti continui, specie a Roma, che denunciano anche la morte di piante che sembravano essere del tutto sane, magari “colpevoli” solo di stare nello stesso filare.
La CO2? La compensano gli alberi grandi
Nello stesso messaggio arrivato sul mio telefono c’è un’altra falsità: che in questo modo, cioè ripiantando, si compensi la CO2. È vero che piantare alberi in sé compensi la CO2 ma se un comune, per fare un esempio, abbatte cento alberi grandi e ne pianta al loro posto cento appena nati, la CO2 assorbita diminuisce e dunque anche il contrasto al cambiamento climatico. Se si volesse mantenere la stessa quota di assorbimento il rapporto non dovrebbe essere 1 a 1 ma 10 o 100 a 1.
La verità è che con la prospettiva di “ripiantare” i comuni hanno trovato davvero la loro foglia di fico per risolvere i problemi del verde urbano, senza risolvere proprio nulla. Un tempo esistevano i cosiddetti Servizi Giardini, a volte ci sono ancora, decimati quanto a numeri di giardinieri, che davvero conoscevano e curavano le piante. Adesso invece i servizi sono appunto esternalizzati e le nuove ditte alla fine fanno soprattutto questo: abbattere e ripiantare, spesso male, spesso senza curare bene poi gli alberi piantati che muoiono, magari per il caldo.
Per il cittadino al quale hanno tagliato davanti casa alberi alti e che facevano grande ombra questa soluzione non porta nulla di positivo, anzi. I nuovi alberi non fanno ombra e ci vorranno decenni perché crescano.
La fobia dell’“albero pericoloso”
Ma come si fa allora se gli alberi sono pericolosi perché potrebbero cadere? Anche qui, i veri esperti del verde spiegano che questa fobia assurda e incontrollata dell’albero che cade e uccide è semplicemente strumentale affinché si proceda con l’abbattimento degli alberi, perché genera panico sia nei cittadini sia nelle amministrazioni.
La verità è che gli alberi, se ben curati, non cadono. Ma bisogna curarli bene e questo comporta una grande spesa (e comunque, abbattiamo forse le macchine anche se causano 3.000 morti l’anno?).
Si fa prima ad affidare tutto alla ditta che presenta il progetto più economico. Così a guadagnarci sono, appunto, queste ditte e naturalmente anche il vivaismo industriale, mentre non ci guadagniamo nulla né noi cittadini ma neanche i comuni, perché alla fine il risparmio nella cura viene compensato, se non superato, dalle spese per abbattimenti e rimessa a dimora.
Ma allora i cittadini come possono difendersi dalla furia degli abbattimenti nelle città ma anche fuori, vedi il caso dei larici distrutti per fare posto a una pista di bob senza alcun senso a Cortina?
In teoria, anche se manca una vera e propria legge nazionale, le normative a difesa degli alberi ci sono. La legge n.10 del 14 gennaio 2013 afferma che il verde è bene comune di primaria importanza e i cittadini dovrebbero essere informati degli interventi, inoltre, tutela gli alberi con più di settant’anni e quelli che risiedono dentro beni con più di settant’anni. C’è poi la normativa che vieta abbattimenti da marzo ad agosto per tutelare l’avifauna, quella che vieta le capitozzature e infine un’importante sentenza del Consiglio di Stato del 2022 che sostiene che il presupposto dell’urgenza va limitato a casi eccezionali e che occorrono prove tecniche ulteriori oltre quella visiva per abbattere un albero. Per quanto riguarda gli alberi abbattuti per opere come la pista di bob, bisognerebbe dimostrare per legge che non ci sono alternative agli abbattimenti. Ma questo raramente viene documentato.
Tante leggi a favore degli alberi, ma aggirate
Lo stesso fanno i comuni che non si interessano delle norme che tutelano gli alberi e, purtroppo, quando un albero è stato abbattuto non si può tornare indietro. Spesso, tra l’altro, viene messo un frettoloso divieto di sosta prima dell’inizio degli abbattimenti, quando ci vorrebbe invece l’apertura di un cantiere (chiedetelo, se possibile).
Inoltre, i residenti andrebbero informati adeguatamente. Figuriamoci. L’unica soluzione sarebbe cambiare cultura, ripristinare i Servizi Giardini e tornare a curare gli alberi esistenti, invece di abbatterli indiscriminatamente. Ma è complesso e più difficile da spiegare in un messaggio propagandistico su WhatsApp.
Bisognerebbe poi cominciare a valutare, come si fa in altri Paesi, il valore economico degli alberi, per tutti i servizi ecosistemici che producono. Un albero alto, cresciuto e che fa molta ombra potrebbe essere valutato migliaia e migliaia di euro. Forse, mettendola così, i comuni smetterebbero di abbatterli senza criterio o con scarso criterio. Perché, alla fine, quella dei soldi è l’unica lingua che comprendono.
La Svolta, 25 marzo 2024
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