L’immagine dei tre ragazzi abbracciati sull’ultimo lembo di terra rimasta nel fiume Natisone prima di essere spazzati via dalla piena è ormai fissata nella mia mente dal giorno dell’accaduto. L’angoscia, la tristezza che porta con sé mi accompagna da allora, perché pensare a tre ventenni morti in quel modo che a prima vista appare inverosimile, e alle loro famiglie sconvolte, è qualcosa di veramente inquietante.
Ma al di là dello svolgimento esatto dei fatti al di là delle polemiche sui soccorsi e su un elicottero arrivato forse troppo tardi – eventi che sarà la magistratura a ricostruire – mi pare che ci siano due riflessioni da fare.
La crescita rapidissima e improvvisa dei fiumi è un fenomeno che è sempre più frequente a causa dei cambiamenti climatici. Se da sempre chi va in montagna, o attraversa torrenti, sa che è indispensabile controllare sempre il meteo, questo è vero a maggior ragione oggi. Ma controllare il meteo non basta. Forse se i ragazzi lo avessero fatto, non sarebbe cambiata la loro scelta. Il punto è un altro: ci vuole formazione, e una formazione vera per tutti sui rischi correlati alla crisi climatica: alluvioni, incendi, ondate di calore etc. I bambini e i ragazzi dovrebbero essere formati nelle scuole, fin da subito, apprendere come evitare i pericoli, imparare e vivere all’interno di un contesto mutato e purtroppo non in senso positivo. Ma non solo studenti: tutti i cittadini, nell’età della crisi climatica, dovrebbero essere profondamente educati a conoscerne i pericoli. Per imparare a proteggersi, per evitare errori fatali, in montagna, in campagna, in città, in vacanza quando si va nelle isole, nei campeggi in mezzo ai boschi.
Invece il paradosso è che esiste un pericolo immenso e crescente e viviamo come se non ci fosse. E se riesco a capire un po’ meglio perché non si riducano le emissioni, per le pressioni delle aziende fossile, per la, difficoltà a cambiare stile di vita, talvolta per i costi e molto altro, mi risulta incomprensibile invece che non ci sia alcuna informazione sui pericoli legati alla crisi climatica, qualcosa che costerebbe davvero poco. È come se la nostra società, i nostri governi volessero farci vivere in un’atmosfera infantile di perenne divertimento e consumo, come se non dovessero farci sapere la verità, in modo che tutto vada avanti egualmente, che l’economia non subisca scossoni, che il turismo non venga danneggiato dalla paura, che in generale l’atmosfera psicologica resti quella di una ignara (e stupida) spensieratezza.
In questo senso siamo tutti in un certo senso moralmente responsabili della morte di questi tre ragazzi, in particolare, io ritengo, chi la crisi climatica continua a negarla, chi fa finta di essere pro transizione ma poi la boicotta, chi non pensa a formare in maniera seria e sistematica i giovani anzitutto, la base e il cuore della nostra società, e poi anche tutti gli altri. Soprattutto, anche, chi agisce facendo norme che possono mettere in pericolo le persone, come i vari condoni che la maggioranza sta approvando (insieme alla Regione Lazio) per rendere abitabili i seminterrati, luoghi molto pericolosi in tempi di piogge fortissime. Ma si sa, ciò che conta è il consenso (e il solito dio denaro).
Una seconda riflessione riguarda il fatto che i ragazzi siano stati ripresi, a quanto ho capito da più persone, abbracciati poco prima di morire. Bisogna ovviamente chiarire che nessuno di quelli che stavano filmando avrebbero potuto fare qualcosa, pena morire anche loro. Ma certamente fa impressione che, vedendo tre ragazzi in procinto di essere trascinati via dalle onde, si pensi a filmarli. Anche questo è un segno dell’assoluta non percezione del pericolo, forse anche chi filmava non aveva idea del fatto che sarebbero morti di lì a pochi minuti. Così però si è consegnato ai genitori – visto che comunque le immagini tra l’altro erano ovunque, non hanno potuto neanche sceglierle di non vederle – un fotogramma strazianteche li accompagnerà fino a che moriranno. Una tragedia nella tragedia.
Di sicuro, però, quell’abbraccio simbolico, istintivo, ci dà paradossalmente una chiave di lettura della nostra società e di come dovremmo cambiare. Viviamo in un mondo individualista, consumista, competitivo, dove tutto ciò che conta è l’arricchimento personale, con le conseguenze che vediamo in termini di polarizzazione del reddito e degrado e devastazione ambientali. Devastazione che colpisce soprattutto le giovani generazioni. Queste ultime, forse, stanno cominciando a capire che solo cooperando, invece di competere, si potrà uscire da questo sistema che sembra inarrestabile e inscalfibile. Quell’ultimo abbraccio, che pure non doveva essere filmato, ci suggerisce questo: se vogliamo provare a salvarci, dobbiamo stare uniti, insieme, contro un sistema che cerca di dividerci. I tre ragazzi sono rimasti abbracciati per non lasciare l’unica che non sapeva nuotare. Loro non ce l’hanno fatta, ma è come se ci avessero indicato una via.
E, sempre nel loro ricordo, sarebbe bene cominciare a formare in maniera serrata le persone, anche in base al territorio in cui vivono o in cui si spostano da turisti. Oggi chi prova a farlo viene ancora schernito o considerato un catastrofista. Occorre rovesciare lo schema, e considerare pericoloso chi, invece, ignora i rischi e irride chi invece cerca di metterli in luce. Indicando alle persone la necessità di cambiare il nostro rapporto con la realtà e soprattutto la nostra percezione del rischio.
Ilfattoquotidiano.it 7 giugno 2024
Foto di Gary Lewis da Pixabay