E’ stato inaugurato pochi giorni fa – alla presenza del sindaco, di un coro di bambini e di tutta una serie di rappresentanti istituzionali e vip – un albero enorme, di colore dorato, di forma elicoidale, dalla base massiccia, firmato Bulgari. Azienda che ormai è legata a doppio filo all’amministrazione capitolina per motivi che noi semplici cittadini facciamo davvero fatica a capire. L’albero campeggia in cima alla scalinata di Piazza di Spagna, in una posizione di massima visibilità e prestigio.

Nei comunicati e nelle varie dichiarazioni, si spiega che l’albero è sostenibile, perché sono utilizzate luci led a basso impatto energetico. Sono affermazioni che, per chi lavora da anni sui temi della crisi ambientale, appaiono ridicole e grottesche. E il motivo è semplice. Anzitutto, è abbastanza difficile definire un gigantesco albero di plexiglass, cioè plastica, sostenibile. Inoltre, se pure le luci sono a basso consumo, sono migliaia e producono un inquinamento luminoso che, come tutte le luci di Natale che purtroppo invadono le strade ma soprattutto aggrediscono le piante, non giova né agli animali né alle piante.

Ma il punto vero è un altro, come ho già scritto ripetutamente, e come spiegano tutti quelli che di crisi climatica si occupano: sostituire un albero un po’ più inquinante (ma quale sarebbe stato?) con uno a luci sostenibili, creato da un privato che ormai a Roma sembra avere mani libere su vari fronti in accordo con il Campidoglio, non ha nulla di sostenibile. Anzitutto, l’albero è brutto. Massiccio, dorato, enorme; non ha nulla di poetico né ricorda in alcun modo il senso del Natale. In secondo luogo, è di un privato, che così si fa una pubblicità assoluta occupando uno dei posti più belli del mondo senza oneri, se non quello di fare l’albero stesso, che è proprio il veicolo per segnalare la propria presenza e appunto farsi pubblicità. Ci troviamo di fronte a una istituzione pubblica che accetta che la piazza più iconica della città venga ceduta a privati, in cambio di cosa? Di un albero gratis?

Tutta l’operazione ci viene venduta come qualcosa di meraviglioso, fantastico, di cui gioire ed essere orgogliosi come romani. Ma in che senso? Cediamo la nostra città, la svendiamo letteralmente a privati che ci fanno ciò che vogliono, compreso un enorme albero di Natale che per un mese renderà una piazza che è dei romani più brutta e dovremmo essere contenti? Ma qual è il messaggio etico di questa operazione, se non che, appunto, il privato vince sul pubblico, e il capitalismo trionfa su una gestione diversa, più democratica, delle nostre piazze? Perché quell’albero? Chi lo ha deciso? Chi lo ha imposto? Perché dobbiamo subire le installazioni di un’azienda solo perché i nostri amministratori hanno deciso così? Oltretutto, nessuno sembra imparare dall’esperienza, se è vero che l’anno scorso l’albero di Gucci, altrettanto brutto, piazzato in Galleria a Milano, fu molto criticato e alla fine simbolicamente imbrattato da Ultima Generazione, che almeno lo rese più umano e più vicino allo spirito del Natale.

Invece a Roma, come al solito, Gualtieri dimostra completa indifferenza verso la cittadinanza. Si comporta un po’ come un sovrano, e poi pretende anche che siamo tutti sotto l’albero scelto da lui e realizzato da privati felici a ringraziare della gentile concessione. Manca nei nostri rappresentanti ogni minima concezione di cosa sia rappresentare una città. Manca anche ogni traccia di democrazia deliberativa, che i nostri governanti ignorano del tutto. In altri paesi, ad esempio in Svizzera, consultano la cittadinanza per cose anche piccole, ma sulle quali le persone vogliono dare la loro opinione. Ed è qualcosa che fa sentire i cittadini coinvolti sulla gestione della cosa pubblica. Si dirà che non si poteva fare un referendum su che albero vogliamo, però sul fatto che vogliamo o non vogliamo svendere la nostra città ai privati forse sì. Non credo che non si potessero trovare altre alternative, non credo non si potesse avere un albero più semplice ma che non simboleggiasse in maniera così plateale che il privato vince sul pubblico.

Gualtieri, il Natale, poteva inaugurarlo in altro modo, andando dai senza dimora, oppure tra le migliaia di famiglie sfrattate a causa dei b&b dilaganti, o dei romani poveri perché l’inflazione è così alta che molti non riescono a mettere insieme pranzo e cena. Invece, ha scelto la via più comoda. Ma quello che abbiamo in piazza di Spagna è l’arrogante vittoria del capitalismo, con tanto di celebrazione delle istituzioni. Ripeto, la sostenibilità è altro. Anzitutto, significa maggiore bellezza; significa più sobrietà, anche, cosa semplice da raggiungere ma a quanto pare valore ormai inesistente anche per i nostri amministratori di sinistra.

Soprattutto, però, sostenibilità significa più rappresentatività e più democrazia. Sulla gestione della nostra città, sulle opere del Giubileo, su come Roma si trasforma, persino sì, su quali alberi vogliamo che occupino per settimane le nostre piazze. Non c’è traccia di tutto questo. A Roma l’amministrazione decide, con il Vaticano, con le aziende, con i mega architetti, progetti che nessuno romano vede prima o condivide. E se poi magari sono brutti e inopportuni (penso alle fontane in cui saltare di fronte a piazza San Giovanni), se poi resteranno per secoli o anche per poche settimane, non importa a nessuno. Per loro dovremmo solo ringraziare.

Il Fatto Quotidiano, 8 dicembre 2024 Foto di Monika da Pixabay

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