Era nato con un semplice, ammirevole scopo: scandire il desiderio dei più piccoli verso l’arrivo del Natale cristiano, facendo il conto alle rovescia con un gessetto, sulle pareti o per terra. Poi un editore tedesco, nei primi nel novecento, s’inventò un vero e proprio calendario di cartone, con 24 finestrelle simboleggianti le varie scene del Natale e culminanti, il giorno della Vigilia, nell’immagine della Natalità. E tanto bastava per placare l’eccitazione dei bambini, che si svegliavano la mattina solo per aprire la casellina. Per molto tempo è andata avanti così, anche da noi: fino a poco tempo fa questi calendari li trovavi nelle polverose librerie cattoliche a pochi euro. Ma i bambini meno credenti non potevano restare senza, così il calendario dell’Avvento si è popolato di Babbi Natale e villaggi sulla neve. Poi però si è pensato che fosse troppo scandaloso che i bambini dovessero aspettare i 24 giorni precedenti il Natale senza alcun regalo, così si è cominciato a creare caselline-box, dove mettere cioccolatini, inizialmente, poi regalini simbolici: un pennarello, una figurina, un biscotto. Ma come sostenere l’insostenibile sofferenza di un bambino di fronte a un solo pennarello? Ed ecco dunque 24 regali veri e propri, sia pure di dimensione inferiore a quelli del Natale: calzini, macchinine, libri, tutto per “sopportare” l’attesa dei regali “veri”. Ci fossimo fermati qui, sarebbe stato già troppo. Fiutando l’incredibile opportunità di vendere altri ventiquattro regali ai genitori dei bambini oltre quelli del Natale, e aziende hanno reso il calendario dell’Avvento un assurdo format, dove semplicemente si vende lo stesso, qualsiasi oggetto di sempre, purché ci sia un vago ricordo delle ventiquattro caselle. E allora ecco i calendari dell’Avvento zuccherati – Ferrero, Haribo, m&ms, Nestlé – il calendario dell’Avvento dei Playmobil declinato in qualunque versione (Bosco degli Animali, Fattoria etc), il calendario di Lego Star Wars, quello di Harry Potter (anche Limited edition), quello di Cars Disney, Frozen, Barbie (con 24 scomparti per accessori moda): ogni marchio praticamente ne ha uno. Ma perché limitarsi ai bambini? E infatti il calendario dell’Avvento è diventato per tutti: si va dalle birre alle tisane, ma vanno forte soprattutto i calendari “in versione beauty”. Da L’Oréal a Lancôme, da Sephora a L’Occitane, per fare solo alcuni esempi, è corsa ai cofanetti con 24 prodotti di bellezza e tante tipologie di prezzo, che possono arrivare a oltre duecento euro. Nessun problema, perché i calendari dell’Avvento vanno a ruba, fanno tanto Natale. Che senso abbia sostituire l’antico rituale dell’attesa della nascita di Gesù col mettersi una crema al giorno o aggiungere un accessorio a una bambola non è dato saperlo. Di sicuro, il passaggio tra un segno per terra con un gessetto e il calendario con 24 smalti per i “nail art addict” è la dimostrazione che il filosofo Vico aveva ragione. La storia ha corsi e ricorsi, altro che progresso lineare. Si può regredire, altro che.
Novembre 2019, Il Fatto Quotidiano
Foto di Markus Spiske