Mi trovo a due passi dalla Val Ferret in Val D’Aosta, chiusa proprio alcuni giorni fa per una possibile frana del ghiacciaio Planpincieux sul Monte Bianco. C’è una disperazione mista a irritazione da parte di chi lavorava proprio qui in Val Ferret e che ora, dopo il Covid-19, deve chiudere di nuovo tutto. Ma il punto non è solo questo.
Come hanno scritto questi giorni i giornali, che ogni tanto si risvegliano per dare notizie sul cambiamento climatico, lo scioglimento (o la fusione, se vogliamo usare il termine giusto) dei ghiacciai è irreversibile ovunque. Il che significa che nel giro di qualche tempo, non sappiamo quanto di sicuro sarà un processo che anche noi adulti faremo in tempo a vedere, i ghiacciai spariranno. E ovunque la sparizione sarà preceduta da possibili crolli e frane.
Non mi voglio soffermare qui sulle conseguenze in termini ambientali, economici, sull’impatto rispetto all’approvvigionamento idrico che i ghiacciai garantivano. Mi interessa fare un discorso più emotivo, quello che stanno facendo da anni anche molti artisti – ho visto bellissime mostre sul tema – e anche cittadini, come quelli ad esempio che in alcune parti del mondo hanno celebrato una sorta di “messa funebre” attorno ai ghiacciai spariti. Ed è una scelta giusta, perché la scomparsa del ghiacciaio è un vero e proprio lutto che faremo fatica a elaborare.
Riflettevo l’altro giorno sul significato delle parole “ghiacciai perenni“. Ecco, questa è la dimensione che guardare, o percorrere, i ghiacciai ci dava. Un senso di stabilità, immobilità, diciamo anche di immortalità, sia pure solo della Natura. Per questo la montagna ha un’aura veramente sacra, per questo ci ritempra non solo fisicamente ma anche spiritualmente. E’ il nostro spazio metafisico, come lo è in parte il mare per la sua infinitezza, qui invece proprio per la sua imponente immutabilità.
Se i ghiacci si sciolgono, perdiamo con loro anche questo senso di stabile durevolezza che è fondamentale a livello psicologico per stare al mondo. Perché se è vero che il sentirsi stabili è un fatto interno, ma di sicuro si alimenta anche con ciò che c’è fuori. E lo spazio fisico, la Natura, ci dava e ci dà questa sensazione di continuità letteralmente “ontologica”. Ecco anche, perché, il cambiamento climatico può essere devastante a livello psicologico, specie per i più fragili.
Non solo per le sue conseguenze fisiche, ma anche per quelle sulla nostra mente, che deve affrontare ed elaborare una Natura che nel peggiore dei casi muore, nel migliore comunque cambia. Non è più stabile. Non è più eterna. Siamo cresciuti in fondo col binomio “Natura immobile” vs “storia che cambia”, dove la storia era portatrice di eventi drammatici e mutamenti, guerre, rivolgimenti etc, e la Natura invece di stabilità.
Oggi potremmo dire viviamo in un’epoca in cui sia la Natura che la storia sono portatrici di mutamente forsennati a cui dobbiamo adattarci. Una sfida psicologica, ripeto, forse mai vista prima.
L’altra emozione che lo scioglimento dei ghiacciai porta con sé è quella di una sorta di cancellazione della nostra memoria. Perché tutti noi adulti abbiamo potuto vivere almeno per un pezzo della nostra vita, e sicuramente l’infanzia, con l’immagine delle montagne innevate che lì stavano, appunto, nei nostri libri di geografia come nei nostri cuori. Abbiamo sperimentato, non tutti, ma sicuramente molti, un po’ di vita in montagna, dove abbiamo le nostre più grandi emozioni.
Quelle magari legate a nostri genitori che non ci sono più o sono anziani e che ci hanno portato su per i sentieri, per farci vedere le grandi montagne immobili, per farci toccare con mano, credenti e non credenti, un po’ di immortalità. Ora dobbiamo combattere anche contro questa perdita di memoria e non è un caso che ci sono tantissimi fotografi che nel mondo stanno cercando di fotografare tutti i ghiacci rimasti, perché almeno ne rimanga traccia visiva. Ci sono anche persone che li stanno visitando, magari con i propri figli, perché ne rimanga traccia, appunto, nella loro memoria.
Con tutto questo non voglio dire che lo scioglimento dei ghiacciai ci impedirà di vivere. Se in qualche modo riusciremo a contare le conseguenze del cambiamento climatico, e dunque l’aumento delle temperature, forse potremo ancora andare in montagna con figli e nipoti, per i quali la memoria infantile, e dunque le emozioni, sarà formata soprattutto da rocce e boschi, come per noi i ghiacciai.
Ma c’è comunque un lavoro che non possiamo evitare, e di cui tutta la società si dovrebbe occupare, dalle istituzioni a chi lavora con le emozioni come gli psicoterapeuti, e cioè l’elaborazione del cambiamento, spesso in senso distruttivo, della nostra natura a causa del clima che cambia. Bisognerebbe accompagnare le persone in questo cambiamento, permettere che possano esprimere le loro paure, il loro dolore per ciò che accade.
Secondo un recente sondaggio Ipsos, i cittadini italiani sono soprattutto spaventatidai cambiamenti climatici ben più del Covid-19. Ed è logico, un ghiacciaio che si scioglie suscita emozioni intense di dolore e paura. Emozioni che, al momento, né i media né le istituzioni raccolgono. Lasciando le persone sole a elaborare una tristezza troppo grande per poter essere gestita nel privato.
Il Fatto Quotidiano, agosto 2020
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