Come saremo dopo il virus? Non è possibile dirlo perché “ciascuna persona, nazione e cultura reagirà in modo diverso”. E non è neanche detto che impareremo qualcosa, “perché la struttura delle persone si costruisce in tempi di pace”. Simona Argentieri, medico psicoanalista, didatta dell’Associazione italiana di Psicoanalisi e dell’ International Psychoanalytical Association, autrice di libri come L’ambiguità o il Padre materno, spiega perché siamo arrivati del tutto impreparati “psichicamente” all’emergenza, tra diniego dei problemi del mondo, insofferenza ad ogni frustrazione e illusione che tutto sarebbe andato per il meglio. Ma, pur pessimista, giudica positivamente l’azione delle istituzioni e quella dei giornali, “che in questo stanno informando con continuità, aiutando le persone a sentirsi meno sole”.
Può dirci come, secondo lei, eravamo prima del virus?
Siamo partiti particolarmente male, non attrezzati per far fronte a questa emergenza eccezionale. Infatti oscillavamo tra il diniego di tutta una serie di enormi problemi che ci circondano, che vanno dalle guerre alla questione delle migrazioni al disastro climatico a una sorta di voluta illusione che tutto si sarebbe aggiustato senza la nostra partecipazione.
Dunque siamo arrivati alla crisi del tutto impreparati.
Sì, temo di sì, anche a causa, vorrei aggiungere, di una serie di tratti molto tipici della nostra cultura che certo non aiutano: l’intolleranza alla frustrazione, l’insofferenza di fronte a ogni limite ai nostri desideri (vissuti come ‘diritti’); il piccolo egoismo quotidiano, il narcisismo. Tutti elementi che producono quell’atteggiamento di rabbia diffusa contro il mondo, denunciato con coraggio dal recente libro di Nicoletta Gosio, Nemici miei. La pervasiva rabbia quotidiana (Einaudi). Ad esempio, ora c’è il rischio della insofferenza e della ribellione alle regole restrittive.
Come stiamo gestendo ora il virus?
Legittimamente, ognuno sta cercando di difendersi da questa massiccia ondata di angoscia e preoccupazione, ricorrendo a vari meccanismi psicologici. Di per sé la paura può essere un eccellente stimolo per attivare le nostre risorse, ma esiste anche quello che io chiamo eccesso di legittima difesa. Quali sono? Anzitutto, il diniego, l’atteggiamento spavaldo del fregarsene, del gridare all’esagerazione; in secondo luogo, l’atteggiamento fobico che ha portato a episodi orrendi di caccia all’untore, dove si usa la rabbia come difesa dall’angoscia.
Il bisogno di certezze è sbagliato?
No, di per sé è naturale, tutti vorremmo avere certezze e infatti la maggior parte delle persone chiede risposte chiare ed assolute; alla scienza,in primo luogo: “Quanto durerà?” “come mi posso salvare?” Uno scienziato onesto però può rispondere solo “Non lo so. Ci stiamo lavorando”. Alla psicologia si chiedono rimedi e modelli di comportamento salvifici. Ma purtroppo neanche questi esistono. Il compito degli ‘esperti’ non è né rassicurare, né allarmare; ma aiutarci ad affrontare i margini di incertezza che la realtà ci presenta.
Secondo lei come si stanno comportando da un lato le istituzioni dall’altro i mezzi di informazione?
Se finora sono stata negativa, mi sento invece di dire che entrambi si sono mossi abbastanza bene. Le istituzioni certo non sono perfette ma stanno facendo tanto e anche voi giornalisti mi sembra stiate facendo ora del vostro meglio per offrire un’informazione continua e dare le notizie vagliandole, aiutando così le persone a sentirsi meno sole. Insomma, un atteggiamento più responsabile e più equilibrato. Mi paiono positivi anche i primi segni di solidarietà aziendale.
Lei ha scritto moltissimo di famiglia. Come la quarantena forzata impatta sui rapporti familiari?
Immagino che vedremo di tutto. Da un lato c’è la speranza che questo sia un momento di riscoperta dell’intimità, di valori, primari, di dialogo e unione; dall’altro la famiglia potrebbe diventare il luogo massimo dell’insofferenza, il posto dove scaricare rabbia, lanciarsi accuse reciproche. Per molti di noi il ‘fuori’ era un importante mezzo di bilanciamento; di investimento intellettuale ed emotivo, essenziale per non mettere in prima linea i deficit dei rapporti di coppia o le difficoltà tra genitori e figli. Mancherà anche quella preziosa ‘zona intermedia’ che sono i rapporti con gli amici. Non nascondiamoci che la situazione è molto dura.
Cosa dovremo aspettarci dopo?
Un punto delicato, secondo me, saranno le fantasie di risarcimento che già circolano, l’aspettativa salvifica o la pretesa irrealistica che ci sia qualcuno che ci ripagherà da tutti i punti di vista, sia economico che emotivo. O almeno che ci sia qualcuno da poter accusare di inadempienza. Qualche risarcimento ci potrà essere, ma sarà inevitabilmente parziale.
Ma secondo lei i rapporti umani cambieranno? L’”io” farà posto al “noi”?
E’ una speranza alla quale siamo tutti chiamati a collaborare. Però si tratta di un evento che colpisce tutte le età, tutte le culture e le zone geografiche. Non è possibile prevedere come ce la caveremo, non ci sarà sicuramente un modo unico. Ci sarà chi approfitta di questa situazione, chi riscoprirà la famiglia, altri invece patiranno la sofferenza della convivenza e degli squilibri sociali. Quello che posso dire da psicoanalista, ed è la cosa a cui tengo di più, che paradossalmente il narcisismo, l’egoismo sono un cattivo affare. Odiarci l’un l’altro, cercare il capro espiatorio ci lascia ancora più vuoti e soli. E l’agressività più nociva è sempre quella inconscia.
Ma avremo imparato qualcosa?
Solo alcuni e solo in parte. In realtà neppure mi piace l’idea che si debba apprendere dalla disgrazie, dopo che ci abbiamo sbattuto contro. Tutto il mio lavoro è teso, al contrario, a riconoscere e proteggere i valori dell’esistenza da prima, non quando sono in estremo pericolo.
Come psicoanalisti come state vivendo questo momento?
E’ durissima, perché il nostro lavoro presuppone continuità e presenza. Dover dire alle persone che non ci possiamo vedere, il ricorrere al surrogato modesto che è a mio avviso la seduta a distanza, usando la tecnologia, è difficile. Dobbiamo decidere caso per caso. Ma vorrei aggiungere un’altra cosa, forse impopolare. La psicologia ‘assistenziale’ è illusoria e ci tratta come eterni bambini Di fronte a tragedie come questa siamo tutti pari. Non abbiamo ricette salvifiche. In particolare, la psicoanalisi è uno strumento unico e prezioso, ma non è un ‘pronto soccorso’. Serve -se lo vogliamo- a sviluppare le forze dell’io per far fronte in modo maturo alle difficoltà della vita.
Marzo 2020, Il Fatto Quotidiano
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