Dal Delta del Po a Miami, dalla Lapponia a Venezia, dalle Maldive a New Orleans: luoghi che nella nostra mente continuano a essere quasi da cartolina, ma che invece stanno subendo gli effetti radicali e irreversibili dei cambiamenti climatici. Fabio Deotto, laureato in biotecnologie, scrittore, giornalista, ha fatto un lungo viaggio per raccontare dal vivo – nel libro reportage L’altro Mondo. La vita in un pianeta che cambia, edito da Bompiani – una realtà che non riusciamo ancora a vedere. “Il luogo che mi ha colpito maggiormente? La costa meridionale della Lousiana, che sta letteralmente sprofondando nel Golfo del Messico”, dice l’autore. Che spiega anche i motivi biologici e psicologici per cui non percepiamo l’emergenza climatica come qualcosa di cui avere paura immediata. “Il mondo come lo conoscevamo è già finito, quest’estate dovrebbe avercelo reso palese, eppure ancora fatichiamo a crederci”.
Perché ancora non siamo capaci di vedere il mondo come irrimediabilmente cambiato?
Credo che la consapevolezza del cambiamento si acquisisca innanzitutto informandosi in prima persona. Ma c’è bisogno anche di uno sguardo complessivo, per rendersi conto che eventi apparentemente eccezionali e scollegati come gli incendi incontrollati, le alluvioni fuori scala, le cupole di calore, sono in realtà manifestazioni dello stesso problema. La quantità di persone che prende sul serio questa minaccia esistenziale sta aumentando nettamente in tutto il mondo. Purtroppo non si registra la stessa presa di coscienza a livello politico.
Nel libro lei racconta come in qualche modo ci stiamo adattando ai cambiamenti, ma non sempre nel senso della resilienza.
Anzitutto è importante dire che la scelta non è tra mitigazione, cioè ridurre le emissioni, e adattamento, per sopravvivere in un mondo che è già irreversibilmente cambiato. Servono entrambe. Prendiamo l’esempio di Miami Beach: è stata costruita su un’isola di barriera sempre più esposta alle mareggiate violente, agli uragani e all’aumento del livello delle acque; l’amministrazione ha deciso di adottare un approccio di “adattamento incrementale”, in cui le strade vengono sollevate, i nuovi edifici vengono costruiti con il primo piano abitabile rialzato e i quartieri vengono disseminati di pompe per svuotare le strade durante gli allagamenti. Nel frattempo però si continua a edificare su una costa sempre meno adatta ad ospitare abitazioni, e c’è chi nel dubbio sfrutta la propria disponibilità economica per comprare terreni nelle zone più rialzate (e povere) di Miami, col risultato che mentre la ricca Miami Beach si adatta, nelle comunità limitrofe molti finiscono sul lastrico.