Con temperature record e roghi causati dal caldo, Atene ha deciso di chiudere l’Acropoli nelle ore più roventi del giorno. Un’identica richiesta, tramite una petizione collettiva, è stata fatta alla Direzione del Parco Archeologico del Colosseo, a Roma dalla storica dell’arte Roberta Bernabei, per la chiusura del Parco dei Fori e del Palatino: “Camminare tra le pietre arroventate del Foro Romano e del Palatino fa male alla salute dei visitatori, delle guide turistiche e di coloro che ci lavorano stabilmente ogni giorno. Gli orari da voi proposti non sono più adeguati purtroppo al cambiamento climatico che rende una visita nelle ore centrali del giorno un vero pericolo per la salute. Vi chiediamo pertanto di cambiare gli orari per evitare inutili rischi per tutti”, si legge nella richiesta. Racconta sempre Roberta Bernabei di quando pochi anni fa un turista americano un po’ sovrappeso morì accanto all’Arco di Tito per un collasso dovuto al caldo. E d’altronde solo al Colosseo in questi giorni si contano ottanta casi di malori al giorno.

Turisti senza consapevolezza climatica

La situazione, in realtà, è così evidente da apparire anche un filo paradossale. Accanirsi nel visitare il centro di una città senza alberi, facendo lunghissime file sotto il, sole, visitando musei anche senza aria condizionata (Vaticani), puntando a mangiare fuori sui tavoli arroventati sperando di provare la sensazione vacanziera di essere nella città del buon cibo e della socialità, città spesso raccontata in maniera stereotipata e infelice, è semplicemente senza senso.

Qualsiasi turista con un po’ di senno dovrebbe pensarci due volte a venire a Roma a luglio o agosto, e la consapevolezza del cambiamento climatico dovrebbe far parte di tutte le persone che viaggiano. E invece le guide, che d’estate nella città d’arte partono coperte, con cappelli e ombrelli sapendo la giornata che li aspetta, spesso di trovano famigliole in calzoncini, pelle chiarissima, zero crema, che credono di visitare i Fori e Roma, o Firenze o Napoli, nello stesso modo in cui visiterebbero, che so, la Norvegia, o l’Inghilterra, dove pure ormai le estati calde si fanno sentire.

Famigliole che spesso poi si sentono male, tornando indietro, magari rinunciando alla visita.

Chiudere i siti nelle ore più calde è solo l’inizio ma il problema non sono solo le dissennate scelte individuali, ma, come sempre, anche quelle istituzionali. Cominciare a chiudere le attrazioni all’aperto nelle ore calde è un timido passo, che pure a quanto pare da noi ancora non si vuole fare.

Il timore è sempre lo stesso, fermare il turismo, fermare la crescita, fermare lo “sviluppo”. Tutte cose che si fermeranno da sole, se è vero che la campagna di stampa circolata in questi giorni su Roma come “Infernal City” qualche base di verità ce l’aveva (e non solo per le temperature).

E infatti le previsioni future del flussi indicano che ci saranno sempre meno turisti d’estate nelle grandi città d’arte, che verranno visitate nei mesi meno caldi. Un’auspicabile destagionalizzazione che tuttavia non compenserà il turismo dei mesi estivi.

Un turismo notturno?

L’alternativa sarebbe cominciare a pensare a un turismo notturno, quando appunto il sole è calato. Tutto è possibile e sicuramente alcuni siti sarebbero suggestivi, come gli stessi Fori, tuttavia se cominciamo ad arrivare a tanto forse prima una riflessione più ampia andrebbe fatta.

Si tratta infatti in tutti i casi di forme di adattamento alla crisi climatica. Muoversi la mattina presto, oppure la sera, è un modo per continuare a fare la stessa, identica, cosa ma in modo diverso.

Il punto è capire se è giusto continuare a tutti i costi a fare le cose che abbiamo fatto fino a quando la consapevolezza, e gli effetti, della crisi non sono diventati evidenti. Non solo viaggiare con il cambiamento climatico sta diventando sempre più pericoloso, bisogna schivare ondate di calore, piogge intense, alluvioni che possono isolare alcune zone e via dicendo, ma soprattutto il modello di turismo insostenibile continua a fare danni sull’ambiente e sul clima, aggravando la situazione e quindi tutti i suoi effetti.

Se 134.386 decolli vi sembrano pochi

Un solo esempio: Venerdì scorso un articolo di Repubblica riportava il problema del caro biglietti, spiegando che, appunto, i rincari dei biglietti aerei sono dovuti spesso a degli algoritmi che mettono prezzi molto alti. Che però, accettati dalle persone, restano tali.

Può sembrare un paradosso, ma secondo l’articolo nonostante i prezzi folli degli aerei, specie per le famiglie, la gente è comunque disposta a pagare di più, pur di volare. Tanto che siamo arrivati alla cifra record di 134.386 decolli del 6 luglio scorso. È una cifra incredibile, per certi versi sconcertante.

Invece di modificare quelle scelte che provocano direttamente e senza alcun possibile margine di interpretazione un aumento esponenziale della CO2 (viaggiare in aereo è una delle cose più inquinanti), ci si accanisce nel reiterarle, contribuendo ad aumentare le temperature. Viaggiare per magari poi ritrovarsi, appunto, in città arroventate dove alla fine si prende un Ncc schermato con l’aria condizionata per andare al museo, andare al ristorante e tornare in albergo sempre con aria condizionata. Se questo è viaggiare.

Cambiare mete. Esterne ma anche interne

Bisognerebbe cambiare mete, e non solo turistiche, ma anche mete interne. Cominciare cioè a pensare a quali sono i nostri bisogni essenziali, a quali possiamo rinunciare senza che questo ci crei troppa infelicità, a puntare su ciò che invece ci rende felici e che probabilmente non è montare su un aereo per farsi dieci ore di volo e visitare luoghi in questo modo e con queste temperature.

La pandemia ci aveva costretto a fermarci, e oggi in tantissimi, specie chi ha a cuore l’ambiente e teme con angoscia la crisi climatica, si chiedono come mai non abbiamo imparato nulla da quella esperienza. La risposta forse è questa: siccome non era un limite che ci siamo imposti spontaneamente, magari dopo una lunga riflessione collettiva pubblica e privata, tutto è tornato come prima.

Non si cambia per tagliole arrivate dall’esterno, purtroppo. Solo che le ondate di calore e le tempeste di grandine invece sono sempre più estreme. Ma il turismo deve cambiare e noi con lui.E non si tratta solo di inventarsi visite notturne o all’alba ai siti archeologici, ma chiedersi dove esattamente, mete turistiche a parte, vogliamo andare come persone. E come collettività.

La Svolta.it 24 luglio 23

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