Si moltiplicano in tutte le città europee, spesso in strutture bellissime costruite da architetti di grido: sono i musei della scienza e della natura, che da tempo sono diventati dei veri poli di attrazione anche per chi visita una città, in genere con bambini a seguito, ovviamente (ma non è detto).
Realtà virtuale e immersioni in 3d
Avere un museo della scienza nella propria città è un lustro per il Comune che lo ospita, perché questi centri (ripeto, enormi edifici suggestivi) diventano aggregatori di attività di ogni tipo. Ci sono corsi per le scuole, laboratori, persino feste per bambini, anche di notte. Insomma, sono luoghi belli e festosi.
Non sono ovviamente tra loro tutti simili. In genere, però, c’è un piano o un settore dedicato alla scoperta del mondo animale, un altro dedicato al corpo umano, altri all’astronomia, all’ambiente marino; altri ancora ai vari tipi di ecosistema e poi, ovviamente, interi piani con semplici e divertenti esperimenti di fisica o di ingegneria. Ma anche giochi ottici e illusioni.
Quelli più spostati sul mondo animale e naturale hanno l’immancabile sezione sui dinosauri, anche qui spesso con effetti sorprendenti: a esempio al Museo di scienza naturale di Londra c’è un enorme tirannosauro che si muove ed emette spaventosi suoni.
Non mancano visioni di film (magari in 3D) oppure vere e proprie immersioni in realtà virtuali, per vivere, che so, la nascita dell’universo oppure immergersi in una giungla vera e propria alla scoperta degli animali.
Saltare da un esperimento all’altro
I giochi che permettono invece di effettuare esperimenti di ogni tipo sono tanti, colorati, divertenti, pieni di stimoli. Su tutto campeggia la giusta visione per cui la scienza è qualcosa di eccezionale e affascinante e si sottolinea quanto sarebbe bello ed entusiasmante che i bambini diventassero futuro scienziati, ingegneri, astronomi e via dicendo.
Visitando, tuttavia, molto spesso questi edifici, tanto grandi quanto pieni di attività di ogni tipo, si notano 2 cose. Gli effetti direaltà immersiva (come quelli in 3D) cominciano a essere tantissimi e a volte sono eccessivi ed estremi, con rumori altissimi mal sopportati dai bambini più piccoli.
Nel museo della scienza di Glasgow, a esempio, mi è capitato di vedere una sequenza di stanze infinite, spesso buie e piene di effetti speciali, dove si spiegava appunto l’origine della Terra, ma l’effetto era abbastanza ansiogeno e un po’ claustrofobico. Nella stanze che invece riguardano gli animali, in genere si viene invasi da scheletri di ogni tipo e migliaia di animali ricostruiti, forse troppi, forse non necessari.
La scienza senza spessore?
Ma è soprattutto la parte degli esperimenti che a mio avviso espone i bambini a una iper-stimolazione (fatta di luci, suoni ecc.) che senza una guida, che in genere in questi musei non c’è a meno che non ci si vada con la scuola, produce una sorta dieccitazione nel bambino che salta da un esperimento all’altro, talvolta capendo, talvolta non capendo nulla. E vivendo il museo più che come un momento di riflessione e introspezione, come un’attività ludica eccitante: non proprio, esattamente, l’immagine della scienza, un lavoro piuttosto frustrante, lungo e spesso lentissimo.
Perché dare l’idea che la scienza sia un gioco entusiasmante, proprio come un videogioco sul tablet? Non solo. La scienza viene raccontata anche come qualcosa di “pronto”, ovvio, cancellando del tutto i margini di dubbio che pure porta con sé. E cancellando anche la storia delle scoperte scientifiche, che in questi luoghi è per lo più assente.
Invece dell’ennesimo film in 3D, forse sarebbe più interessante capire come uno scienziato o più siano arrivati una certa scoperta. Con quanta fatica, errori, spesso persino fatali. Sarebbe giusto dare spazio anche alle biografie degli scienziati, quasi del tutto assenti.
Cambiamento climatico, ospite poco gradito
È ovvio che un museo per bambini non può essere noioso. Ma l’eccesso di stimoli visivi, sonori e tattili, il clima da festa giocosa più che spazio di riflessione, alla fine non porta a una vera sedimentazione di quello che si è visto, giocato, appreso. I miei figli escono da lì come fossero usciti da un parco giochi e secondo me non è l’effetto giusto.
Anche rispetto al tema ambientale e climatico: di crisi climatica a volte se ne parla in questi luoghi, ma abbastanza frettolosamente, facendo riferimento genericamente all’impatto del nostro comportamento sul Pianeta, al fatto che “tutto dipende da noi” ecc.
Insomma, poche frasi e poca spiegazione del tema, forse perché contrasterebbe con l’atmosfera festosa dei piani precedenti. Intendiamoci: la scienza è una cosa bellissima, va raccontata come una cosa bellissima. E tuttavia a volte mi pare che si cada nel cliché, e che in tutto questo gioco di colori e suoni la ricerca perda di spessore e, dunque, anche di vero fascino.
In questi musei non c’è spazio alcuno anche per altri tipi di ricerca e di conoscenza, penso a esempio alla ricerca filosofica, che pure con la scienza è stata strettamente legata. Inizialmente, infatti, non esisteva alcune separazione tra teoretica, etica, fisica, biologia, la sciagurata separazione tra scienze dello spirito e scienze della natura è arrivata dopo. Ed entrambe ne hanno perso, le prime riducendosi a storicismo soggettivo, e altre a scientismo.
Musei della conoscenza, più che della scienza
In realtà in un museo della scienza, che io immaginerei più come “museo della conoscenza”, mi piacerebbe vedere una stanza dedicata a Platone e Aristotele. Ma anche alle riflessioni dei più grandi antropologi riguardo come si possa vivere diversamente. E anche stanze dedicate alla storia della scienza,a come la scienza sia stata legata a una certa società e ai suoi valori: complesso, certo, ma sarebbe una sfida.
Così, per quanto riguarda il tema della crisi climatica, sarebbe bello che i bambini e ragazzi si fermassero un po’ a riflettere. Che ci fossero spazi di discussione, o anche per cercare di capire non solo l’impatto su ghiacciai e gli incendi, ma anche come si potrebbe invertire la rotta. Sia sul piano pratico, (tramite, a esempio, l’elettrificazione e la decarbonizzazione del nostro modo di vivere) che sul piano etico, cercando di capire di cosa possiamo fare a meno ma soprattutto che le cose essenziali non hanno a che fare con i consumi che distruggono il Pianeta. Proprio come gli animali magari appena visti al piano di sotto, che vivono la loro vita senza bisogni ulteriori, se non lo stare con la propria madre, i fratelli e il vivere in comunità.
Insomma, ripeto, non solo scienza ma conoscenza in senso più lato. Perché, inoltre, non pensare di ridurre le attività? Per esempio, lasciare alcune sale semi vuote, con pochissimi elementi, in modo da evitare l’effetto affastellamento e stimolare la creatività?
Più chiaroscuri, più conflitti, più dubbi, più storie
Forse è troppo chiedere tutto questo a un museo della scienza. Sarebbe interessante però, in questi edifici magnifici, cercare di essere un po’ meno scontati. Mettiamo al lavoro non solo biologi e fisici ma anche storici, filosofi e storici dell’arte. Perché la scienza è ricerca della verità, da qualunque prospettiva la si faccia. E ha un suo aspetto creativo, può essere persino una forma di arte, anche se spesso la si pensa diversamente, come una semplice e meccanicistica ricerca di cause-effetti. Anche a questa creatività va dato andrebbe dato spazio.
Ne risulterebbero luoghi molto più suggestivi e con meno cliché. Dove oltre al bel film, sicuramente, dedicato alle galassie ci sia spazio anche per capire come l’esistenza del cielo e dell’universo ha stimolato la nascita di filosofie e religioni. O di quanto fu osteggiata la teoria dell’evoluzione di Darwin, insopportabile agli occhi di molti per la presunta umiliazione della specie umana. O, ancora, di come fare scienza non sia indenne da tragici rischi, come racconta la storia di Marie Curie, morta per le conseguenze dei materiali radioattivi che maneggiava, e con lei la figlia e il genero.
Insomma, inserire in questi musei più chiaroscuri, più conflitti, più dubbi, più storie: tutto ciò andrebbe, a mio avviso, a loro favore. Sono convinta che rimarrebbero più nella mente dei nostri figli, più che l’ennesima ludica manipolazione tattile o l’assistere tra scintille e saette e rumori altissimi a un’eruzione vulcanica esplosiva in diretta, che alla stanza successiva è già dimenticata.
Pubblicato su La Svolta, 21 agosto 2023
Foto di Jill White da Pixabay