Pochi giorni fa Greta Tunberg ha deciso di prendere posizione in un post a favore dei palestinesi (citando tuttavia “tutti i civili uccisi”). Un pezzo di mondo ambientalista si è scagliato contro di lei, accusandola di schierarsi troppo politicamente e non favorire la causa.
Una critica a mio avviso erronea, sia perché un’attivista climatica ha idee e un pensiero sociale e politico che ha diritto di esprimere. Sia perché occorre cominciare a pensare che la crisi climatica e quella sociale e politica siano intrecciate. Che anche la guerra ha a che fare con il clima e non solo, purtroppo, nei termini delle massicce emissioni climalteranti che produce.
Se la crescita green è cosa da ricchi
Analizziamo un attimo il nostro Paese. Spesso i partiti di sinistra si sono disinteressati alla crisi climatica. Lo stesso i sindacati e anche se le cose in parte stanno cambiando, quando intervengono lo fanno principalmente su ragioni diverse. I cortei per i diritti sociali raramente includono i temi ambientali. E viceversa.
Le manifestazioni per il clima sembrano non avere particolarmente a cuore povertà, welfare e diritti dei lavoratori. Anche per i giornali si tratta di due temi diversi, da derubricare sotto “clima” da un lato e “società” o “lavoro” dall’altro.
La conversione rapida e poco convincente di politici e amministratori di sinistra a favore della crescita green e del capitalismo sostenibile fa il resto, perché nella gente si crea il sospetto che si tratti di un bluff, greenwashing, cose per ricchi, per pochi. Che la questione ambientale non includa la miseria, fatica e povertà che vivono tutti i giorni.
“L’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio”
Non in tutti i Paesi è così. Non dappertutto, infatti, i partiti verdi contano quasi zero, come da noi, mentre la sinistra ha fatto proprie da tempo le istanze ecologiche. Perché, come recita un cartello che è stato più volte avvistato nelle manifestazioni deiFriday For Future, “Senza lotta di classe l’ambientalismo è giardinaggio”.
Proprio così. Senza la comprensione del conflitto sociale alla base della nostra società e senza la decisione di contrastarlo, a favore dell’azzeramento delle diseguaglianze, della povertà, e per migliorare la condizione di chi lavora, non ci può essere un vero pensiero ecologico.
Niente riforme sostenibili in una società disuguale
Si dirà: se si danno più soldi alle persone aumentano i consumi. Non è così perché, a esempio, chi può usufruire di un reddito di cittadinanza può lavorare meno. E il lavoro produce crescita e quindi emissioni.
In generale, infatti, una delle misure più ecologiche sta proprio nella riduzione delle ore di lavoro. Libera tempo per le persone, rendendole più felici, e riduce l’inquinamento. Inoltre, va tenuto presente che in una società profondamente diseguale come la nostra, e nella quale va aumentando il divario tra ricchi e poveri, le riforme ecologiche hanno vita durissima, a meno che non siano accompagnate da sussidi consistenti.
Se la mia macchina non può più entrare in fascia verde ma io non ho i soldi per comprarne un’altra ecologica, la mia rabbia mi porterà, a esempio, a sfasciare le telecamere di entrata nella Ztl. Così è successo a Roma come a Londra. Se la mia casa deve rientrare in un parametro di efficienza energetica ma non ho i soldi, o lo Stato me li dà o finirò nel calderone del populismo più sfrenato.
Qualsiasi tentativo di introdurre la sostenibilità in una società troppo povera e frammentata rischia di arenarsi. Anche perché, banalmente, chi non arriva a fine mese farà fatica a impegnarsi nella battaglia ecologista. Magari si sentirà umiliato ed escluso per non poterlo fare, perché forse ci crede anche. E questo genera altra rabbia.
Non esiste rosso senza il verde (e viceversa)
In verità, non esiste rosso senza il verde. Ovvero oggi non possono esistere movimenti e sindacati che si battono contro la povertà, ma non contro gli effetti devastanti della crisi climatica sulle persone povere. Né può esistere un movimento ecologista che non si batta per un lavoro migliore, con meno ore, più tutelato, per avere più welfare e condizioni dignitose.
L’agenda dei Fridays For Future parla di giustizia climatica, dignità dei lavoratori, diritto alla salute e molto altro. La salute, a esempio, è un tema che potrebbe unire moltissimo i due fronti, perché la crisi climatica sta mettendo in ginocchio interi settori lavorativi, visto che fa troppo caldo per lavorare per lunghi mesi all’anno. E i lavoratori rischiano di ammalarsi ancora di più.
Anche la Cgil parla di crisi climatica e di transizione giusta ma, di nuovo, se pensiamo alle piazze, vediamo che ancora le due istanze restano divise. Anzi a volte succede che ci sia una manifestazione che copre l’altra, a dimostrazione che, appunto, i temi non sono davvero ancora fusi tra loro.
Ecco perché, provocatoriamente, si potrebbe dire che alla prossima Cop dovrebbero andare i sindacati, così come gli attivisti climatici dovrebbero prendere parte ai congressi sindacali.
Bisogna costruire un unico fronte, per dire basta alla credenza circolante che la sostenibilità sia qualcosa che non possiamo permetterci, per ricchi, né che prima della sostenibilità occorra occuparsi della povertà.
Meglio ripeterlo: non c’è giustizia sociale senza giustizia climatica. E non c’è giustizia climatica senza giustizia sociale.
La Svolta, 30 ottobre 23