Le premesse sono quelle che sono, cioè negative. La Cop28 si sta tenendo in uno maggiori Stati produttori di petrolio al mondo. Le emissioni continuano a crescere, tanto che l’obiettivo del contenimento della temperatura entro 1,5 gradi sembra ormai praticamente perso. Il mondo è segnato da nuove guerre.
Elementi per essere pessimisti, se non peggio, ce ne sono. E tuttavia la retorica anti-Cop che circola anche nel mondo ambientalista, per cui le Cop sarebbero inutili, tanto che sarebbe meglio non farle, perché inquinano e basta, forse non è così utile. E forse neanche realistica.
Se anche una riunione di condominio non arriva a nulla
Spesso penso alle Cop quando sono alla riunione di condominio. Oppure, anche quando devo organizzare una piccola festicciola, una merenda con pochi bambini. Accordarsi per cose anche piccole è spesso faticoso e complicato, ci vogliono 1.000 messaggi.
Nel mio condominio per decidere di rifare una facciata vetusta e cadente ci sono voluti 25 anni. Tutto questo per dire che riunire tutti i Paesi del mondo, poco meno di 200, e farli accordare sul problema più enorme e tragico del nostro tempo è una cosa veramente ardua. E in realtà, il fatto che ci sia un’emergenza drammatica in corso non rende neanche le cose più facili.
I negoziati vertono su molti aspetti, vi prendono parte centinaia di persone, durano praticamente quasi tutto l’anno, anche se noi ne parliamo solo durante i giorni più visibili, e sono appunto focalizzati sul gigantesco problema dell’adattamento, che varia da Paese a Paese, perché ogni Stato è radicalmente diverso; sul problema, altrettanto enorme, della mitigazione, anche qui difficile a causa del fatto che i Paesi si trovano su diversi livelli di sviluppo e dunque con esigenze energetiche molto diverse (ad esempio l’India ha bisogno di carbone). E infine, c’è il grande tema della giustizia climatica, ovvero del fondo su perdite e danni (Loss&Damage) che dovrebbe aiutare con cifre miliardarie i Paesi più colpiti dalla crisi climatica e più poveri.
Insomma, è ovvio che avanzare su questi fronti, trovare accordi (che vertono sui singoli paragrafi, sulle singole parole) che devono essere votati all’unanimità è qualcosa che fa di per sé tremare vene e polsi.
Fallimenti e ritardi sono comunque inaccettabili
Tutto questo giustifica i mancati accordi su temi fondamentali, come l’uscita dalle fonti fossili, di cui non c’è traccia nell’ultima Cop27? Ovviamente no.
I negoziati della Cop sono gli eventi direi ormai più politici del mondo, sono l’espressione più importante della politica. I Paesi, specie quelli che sono più responsabili della catastrofe, dovrebbero dare prova di saper mettere in campo decisioni storiche, quali quelle prese a esempio a Parigi nel 2015 con l’Accordo di Parigi. Che nel 2023 ancora non si indichi la strada per uscire dal fossile in maniera netta e senza alcuna ambivalenza è inaccettabile. Come lo è il fatto che ancora non ci sia chiarezza sui fondi per i Paesi devastati dalla crisi climatica, pur non essendone in alcun modo la causa. Non è possibile, anche, che la maggior parte dei Governi prenda parte a queste conferenze per averne visibilità ma poi tornati in patria, per così dire, non faccia nulla per attuare gli impegni presi.
Sono ormai tutte cose insopportabili, perché i fatti sono sotto gli occhi di tutti e indicano con chiarezza che la strada non è, per usare un eufemismo, quella giusta. Da questo punto di vista, è anche giustificato lo scetticismo dei movimenti ambientalisti e degli attivisti climatici. Troppe Cop sono passate da Parigi senza alcun risultato tangibile. E difficilmente si potrà decidere l’uscita dal petrolio in un Paese che non ha nessuna intenzione di uscirne. E che punterà sulle rinnovabili e sulle tecnologie per coprire il fatto che vuole continuare a utilizzare il petrolio. Che vuol dire ricchezza, opulenza ma anche, banalmente, acqua per fare fontane e piscine, perché si tratta di Paesi dove non piove mai e l’abbondanza di acqua viene da energivori dissalatori.
Il mondo ha capito che parlare di energia e clima è il centro
Eppure, che si tengano le Cop continua a essere un fattore fondamentale. È vero, sono decine di migliaia di persone che si spostano, inquinano, ma in fondo non troppi in più rispetto a una finale di Champion’s League. Molti verranno col jet privato: questo sicuramente è una scelta di cattivo gusto; ma giungere alla Cop con l’aereo normale per poi continuare a usare il jet alla fine di tutto non cambia molto (il problema sono i jet, usati sempre).
Resta importante che tutti i Paesi del mondo si incontrino per parlare di clima. Resta importante che ormai alla Cop vengano tutti, giornalisti, imprese, attivisti e ovviamente lobbisti, perché vuol dire che (almeno) il mondo ha capito che il core business mondiale è questo, occuparsi di clima e di energia, cercando di trovare una soluzione alla crisi climatica senza al tempo stesso rinunciare al nostro stile di vita (impresa quasi impossibile, ma che almeno ci si ragioni va bene).
Certo ci vorrebbe più consapevolezza morale, più riflessione e spinta etica, forse anche maggiore spiritualità (e da questo punto di vista l’assenza per malattia del Papa è cosa triste, così come manca la voce di altri leader spirituali) perché si mettano da parte un minimo gli interessi nazionali in favore, per così dire, del mondo e della sua sopravvivenza.
Il cambiamento? Verrà soprattutto dal basso. E un po’ dall’alto
Poi, in ogni caso, come ripetono sempre gli attivisti dei Fridays For future, di Extinction Rebellion, di Ultima Generazione e molti altri, probabilmente non è da qui che verranno i cambiamenti. Loro hanno smesso di andare alle Cop, organizzano delle contro-Cop, non vogliono essere neanche più presenti in veste di antagonisti perché, dicono, in questo modo comunque paradossalmente si legittima la Cop ufficiale. E non c’è dubbio: la transizione ecologica non sarà fatta molto probabilmente dagli Stati ma sulla spinta o di una catastrofe così grande da non poter essere più negata (ma le catastrofi già ci sono e comunque i Governi non le vedono) o, come spesso nella storia, di un cambiamento che viene dal basso.
O, ancora più verosimilmente, sia da forti spinte dal basso unite che piccoli cambiamenti dall’alto, che diventeranno tanto più grandi quanto più la spinta dal basso sarà forte. La storia procede così, è sempre stato così, non solo oggi. Solo che oggi abbiamo un problema in più, forse il più grande, perché non sappiamo quanto tempo abbiamo.
È possibile che questo tempo non ci basti. Ma questo non vuol dire che tutto quello che può essere fatto realisticamente, sul piano umano, che è estremamente complesso, e purtroppo anche lento, non vada fatto. Cop comprese, per quanto possano fare minuscoli passi avanti, per quanto possano anche fallire.
Lo Svolta, 2 dicembre 2023