Il problema di leggere la cronaca locale, di cui sono appassionata – perché rappresenta un punto di vista sul territorio molto più interessante rispetto a quella nazionale – è che spesso ti trovi di fronti a iniziative di amministratori, sindaci o presidenti di regione delle altre città o regioni che decidono misure che tu vorresti nella tua città da tempo immemore.

È quello che mi è successo aprendo qualche giorno fa la cronaca di Bologna e trovandomi di fronte la storica decisione del sindaco Matteo Lepore di rendere l’intera città – non zone, tutta – a 30 km orari.

Leggevo il giornale e sembravo davvero come la piccola fiammiferaia davanti a una vetrina zeppa di dolci attraenti, quella delle decisioni giuste sulla mobilità. A me proibita, vivendo a Roma.

Una decisione pratica, ma anche simbolica

Quella di Lepore è stata una decisione che definire coraggiosa è poco.

La scelta della lentezza è una scelta che ha diverse valenze: concreta, pratica, ma anche simbolica. È una scelta che esprime la volontà di ridurre drasticamente i morti sulle strade, ma anche di cambiare modo di vivere. Rallentare. Cominciare a mettere in discussione la frenesia del vivere e dello spostarsi, che causa incidenti drammatici su pedoni e biciclette, i più fragili sulla strada.

Significa, anche, dire in un certo no a un modello di vita e di consumo vorace ed estremo. Una scelta coraggiosa, ripeto, tanto che, come era da aspettarsi, ci sono già state una valanga di firme per una petizione contro la misura, sono pronti ricorsi fatti da avvocati e proteste varie. Eppure la misura è stata presa. Se mi sposto nella città in cui vivo, cioè Roma, e che ha il triste primato dei morti ammazzati in strada, ammazzati da una mobilità folle e insostenibile non vedo all’orizzonte nessuna scelta di questo tipo.

Non ho visto neanche comunicati di approvazione della scelta bolognese da parte della amministrazione capitolina, niente di niente, eppure si tratta dello stesso partito politico. Mentre scrivo due ragazzi sono morti di notte schiantandosi su una smart, e il conteggio delle vittime è ricominciato. Lo scorso anno si è chiuso, invece che con una diminuzione, con un aumento delle vittime, arrivate a duecento nella sola provincia di Roma.

Puntare tutto sugli autovelox è sbagliato

Il nuovo comandante della Polizia locale di Roma, Mario De Sclavis, sta mettendo a punto una serie di misure per contrastare gli incidenti, insieme all’amministrazione capitolina. Si punta soprattutto all’aumento degli autovelox, che saranno attivi anche di notte (non sapevo che fossero spenti di notte, lo apprendo facendo ricerche per questo pezzo e ne resto basita), quindi telecamere e sensori per misurare la velocità.

Poi, ma qui siamo ancora sul piano delle intenzioni, dopo tanti anni e tante stragi, si punta a mettere più vigili in strada nel week-end, istituire zone a 30 km, e interventi per i famosi blackpoint, gli incroci pericolosi. Molte di queste misure sono ancora sulla carta. Ma se anche venissero attuate, i morti sulle strade non si fermerebbero.

Lo denunciano da anni le associazioni che di questo si occupano, come quella #Vivinstrada, che è una rete di associazioni per la cultura e la prevenzione statale, e che ha cercato sempre una interlocuzione anche con l’amministrazione di Roma.

Scout Speed, dissuasori orizzontali, lotta alla sosta selvaggia

Sul proprio blog, l’associazione ha stilato un lungo elenco di interventi divisi per priorità.

Tra quelle ad “altissima priorità” figura il controllo della velocità tramite il sistema Scout Speed, un sistema di rilevazione della velocità diverso dagli autovelox, perché montato su auto della polizia che girano sul territorio e che possono rilevare la velocità delle auto.

È un dissuasore molto più potente e ce ne vorrebbe uno ogni quartiere.

Come secondo punto figura il controllo a campione per il rispetto della precedenza al pedone sui passaggi pedonali.

Poi il contrasto a sosta selvaggia, con interventi di Polizia e strumenti elettronici. La sosta selvaggia va contrastata anche con dissuasori fisici.

Altro punto fondamentale è l’installazione di strutture spartitraffico e isole salvagente per attraversamenti pedonali, l’installazione di dissuasori fisici verticali e orizzontali, a Roma assenti a differenza di altre grandi città europee. Quindi il controllo per la velocità con autovelox e tutor e la formazione sulle distorsioni comportamentali e sulla mobilità sostenibile.

Passando alle soluzioni ad alta priorità, troviamo la viabilità a 20 e 30 km, la diffusione di pedonalizzazioni e semipedonalizzazioni, la manutenzione delle strisce pedonali, molto importante, il controllo elettronico del passaggio con segnale semaforico rosso, la diffusione e il controllo dei percorsi riservati al trasporto pubblico, la riduzione degli spazi di conflitto tra flussi di traffico nelle svolte e nelle rampe, il controllo e rispetto dei percorsi ciclabili, la creazione di strade scolastiche, politiche di disincentivo del mezzo privato, formazione e sensibilizzazione di tutto il personale dell’amministrazione, delle municipalizzate e delle partecipate. Questo per restare alle misure urgenti o urgentissime e che sarebbero di competenza delle amministrazioni.

Se la sicurezza stradale non è una priorità

Se, insomma, si volesse parlare di una città a misura di pedoni, biciclette, una città con una mobilità davvero sostenibile, perché più ecologica ma anche meno immorale di quella attuale che getta nella disperazione centinaia di famiglie ogni anno, bisognerebbe avere molto, molto più coraggio.

Prendere decisioni impopolari, che sicuramente creerebbero inizialmente malcontento e rivolte, bisognerebbe lavorare ogni giorno per risolvere quello che senza dubbio è il più grande problema di Roma, perché la spazzatura fa male, è brutta, crea degrado, ma non uccide. Questo coraggio, con tutta evidenza, manca.

Si sono fatte misure giuste, come la tessera di 50 euro per tutti gli studenti di Roma, si sta rinnovando la flotta degli autobus, si stanno rendendo le metro più efficienti e sicure, ma tutto ciò non crea mobilità sostenibile, né riduce gli incidenti.

D’altronde, per il sindaco quella della mobilità non sembra sinceramente essere una priorità.

I principali comunicati sono dedicati soprattutto alle grandi opere, vera ossessione capitolina e ad altri interventi di promozione del turismo, e tutto ciò che rende la città una vetrina di attrazione, come più volte ripetuto.

D’altronde – il commento è amaro, ma purtroppo inevitabile – gli incidenti non si vedono, accadono di notte nelle strade a scorrimento veloce, magari scarsamente illuminate, finiscono al massimo, appunto, nelle cronache locali.

Anche se Roma è anche una delle prime città per turisti uccisi(come non ricordare le due turiste belghe travolte sulla bretella dell’A24 oppure la coppia di turisti irlandesi uccisi sulla Cristoforo Colombo).

Ma, insomma, come può non essere un obiettivo urgente e totale quello di cambiare il nostro modo di spostarci, di renderlo più umano, più lento, e meno pericoloso per le nostre vite? E quanto è tanto più assurdo che non lo sia, visto che alcune misure non hanno costi enormi, come appunto dichiarare la città una città a 30 chilometri orari o mettere dissuasori orizzontali?

Tra parentesi, ulteriore paradosso, il traffico a Roma è talmente folle che la velocità media stimata per gli automobilisti è 20 chilometri orari.

Quindi a maggior ragione avrebbe senso un provvedimento che comunque limiterebbe gli scatti di velocità quando la strada si libera, estremamente pericolosi e che, unito agli altri provvedimenti suggeriti dalle associazioni, renderebbe la città meno isterica, ma le mete egualmente raggiungibili nello stesso tempo, anzi forse meno. Una evidenza semplice che, tuttavia, nessuno sembra considerare.

Su La Svolta.it. 22 gennaio 2024

Foto di 3938030 da Pixabay

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