“Nel momento in cui taglio un lembo di carne dei suoi genitali, la ragazza viene sopraffatta dal dolore. Il suo corpo si muove per gli spasmi e il coltello può scivolare, e anche il pezzo di carne che hai in mano scivola dalle dita, e finisci così per tagliare anche dell’altro”. “Usavo una lama di rasoio: quando non ne avevo, prendevo vecchi pezzi di ferro, li affilavo sulle punte e li utilizzavo al posto del rasoio. A volte mi è capitato di tagliare accidentalmente il punto in cui in una donna passa l’urina, provocando così emorragie. Alcune giovani svenivano”. Sono questi i ricordi con i quali convive Epanu Doros, una donna kenyana, che richiama alla memoria la sua vita ed il ruolo che ha ricoperto fino a due anni fa di “tagliatrice di ragazze”, colei che opera la circoncisione femminile. “Una volta ho tagliato una ragazza e l’emorragia non si arrestava. Il sangue era ovunque. Abbiamo dovuto portarla di corsa all’ospedale, dove l’hanno ricucita. La ragazza è quasi morta”. Oggi Doros rimpiange di aver scelto anni fa quella strada lavorativa, nell’intento di far diventare le ragazze donne da sposare e, come altre “ex tagliatrici di ragazze”, adesso cerca di sfruttare la sua popolarità per convincere la loro comunità Masai a fermare le mutilazioni genitali femminili. Quella di Epanu Doros è una delle testimonianze raccolte da Amref, un’organizzazione sanitaria che opera in Africa dal 1957 che, in occasione della quattordicesima Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili, che ricorre oggi 6 febbraio, lancia la campagna “Stop the cut. Fermiamo il taglio” per sensibilizzare le comunità africane. E si appella alla Sierra Leone, che è uno dei pochi paesi africani a non aver dichiarato illegali le mutilazioni genitali. “Una pratica”, spiega il presidente di Amref Italia Tommy Simmons, “che ha complicazioni acute – che includono il dolore, specie durante il sesso, il sanguinamento, le infezioni e a volte la morte – e croniche, come fistole, l’infertilità e l’incapacità di partorire naturalmente, cosa che può provocare complicazioni ostetriche e anche la morte dei neonati. Non solo, la mutilazione è strettamente legata all’analfabetismo, perché essendo un rito legato alla maturità sessuale, queste ragazze, a volte bambine di tredici anni, vengono date in matrimonio e smettono di studiare. A vent’anni hanno già numerosi figli e un corpo provato”. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ci sono circa 125 milioni di donne e ragazze di 29 paesi dell’Africa che sono state sottoposte al taglio tra l’infanzia e l’adolescenza e tre milioni di ragazze sono a rischio ogni anno. Infatti, anche se la legge lo proibisce, la mutilazione genitale a danno delle ragazze è ancora parte dei riti di passaggio dall’infanzia all’età adulta, soprattutto nelle comunità nomadi. “Si tratta”, continua Simmons, “di un fenomeno culturale radicato in moltissime etnie e culture, tanto che molti degli interventi che hanno cercato di proibire questa pratica si sono scontrati con fortissime resistenze, perché in molte aree l’identità tribale è un riferimento più importante della nazione”. Proprio considerando l’importanza delle pratiche culturali che agiscono come un ponte tra l’adolescenza e l’età adulta, Amref ha lavorato, in Kenya e Tanzania, con gli anziani e i guerrieri delle comunità Masai per sviluppare un Rito di Passaggio Alternativo per le adolescenti, al fine di eliminare la pratica della mutilazione. Il Rito di Passaggio Alternativo è stato messo in pratica dal 2012 e consente alle ragazze di effettuare la transizione all’età adulta attraverso una cerimonia simbolica senza subire il taglio. “I Riti Alternativi”, continua Simmons, “non vengono imposti dall’esterno ma sviluppati insieme alle comunità. Per tre giorni la comunità celebra queste ragazze, che ricevono una formazione sui temi della salute sessuale e riproduttiva, dall’aids e l’uso del preservativo a cos’è il ciclo mestruale”. Nel solo Kenya, oltre 8mila ragazze hanno partecipato al rito di passaggio alternativo, scampando alla morte, alle ferite e al matrimonio precoce. “Sviluppare riti sostitutivi”, spiegano da Amref, “è fondamentale, perché se da un lato la legislazione anti-mutilazioni è importante, dall’altro può mettere ancora più a rischio la vita di migliaia di giovani ragazze. Questo perché alle comunità viene chiesto di sradicare una pratica culturale antica ma non viene fornita loro un’alternativa: in questo modo le mutilazioni non vengono eliminate, finiscono solamente per svolgersi in clandestinità”. Pubblicato sul Fatto quotidiano del 6 febbraio 2016.
Foto di Dazzle Jam