“La mia ipocondria? È strettamente legata all’attività sessuale e con il tempo è diventata invalidante. Dopo ogni rapporto sessuale, inizia una serie di ‘sintomi’ e parte la disperata ricerca di segni/manifestazioni/prove e un insistente pressing al malcapitato partner per avere analisi e test. Questo nonostante i rapporti siano sempre protetti.Sono arrivato a sottopormi al test Hiv anche 3 volte in 6 mesi”.
Fabio ha 36 anni, lavora come informatico. Spiega che la sua vita è diventata un inferno, ma non vuole sottoporsi a terapia psicologica.
“Però mi sottopongo acostose visite private, ad esempio domani ho una visita dal dermatologo per sospetti condilomi, sospetto mollusco contagioso e una macchia cutanea che potrebbe essere un fungo come un tumore”.
Anche Francesca, 40 anni, impiegata, soffre di ipocondria, anche se è riuscita parzialmente ad uscire dal tunnel.
“Vuole saperequante patologie ho creduto di avere in questi ultimi anni?Tumore al cervello, mesotelioma, tumore all’intestino, aneurisma, arresto cardiaco, ictus, cecità imminente, tumore all’orecchio e, new entry, un tumore al pancreas. Ma l’aiuto di un medico molto amico mi sta salvando”.
“Tutti credono che l’ipocondria sia un timore vago e leggero delle malattie e della morte, insomma qualcosa di banale, ma così nonè”, spiega a sua volta Sara, traduttrice free lance. “L’ipocondria è la certezza di avere quelle patologiespesso mortali, con l’angoscia senza fine che nasce da questa certezza e la conseguentedistruzione della vita quotidiana, proprio come accadrebbe nel caso di una diagnosi vera”.
Sara racconta di quando aveva deciso di sottoporsi a un’ecografia addominale, nella certezza di avere un cancro al fegato:
“Arrivai nella stanza dell’ospedale ma non volevo stendermi sul lettino, cominciai a urlare, a piangere, a dimenarmi. Mi invitarono ad uscire ma io sapevo che se non avessi fatto l’esame sarei stata ancora peggio. Eppure non riuscivo a calmarmi. Una volta finito l’esame provai un senso di vergogna infinito e uscii spossata”.
La paura di ammalarsi fa ammalare davvero
Che l’ipocondria sia una malattia grave e invalidante è una cosa nota a chi la studia e cura chi ne soffre. Come Alessandro Bartoletti e Giorgio Nardone, rispettivamente psicoterapeuta e Direttore dell’ Istituto di Psicologia e Psicoterapia Strategica di Roma e psicoterapeuta e Direttore del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, nonché autore di decine di libri tradotti in più lingue. Insieme i due esperti hanno scritto La paura delle malattie. Psicoterapia Breve Strategica dell’Ipocondria(appena uscito per Ponte alle Grazie), un saggio sia per medici che per malati, quanto mai necessario vista la diffusione di questa patologia.
“Negli ultimi anni abbiamo assistito a una vera e propriaimpennata dell’ipocondria,che si è trasformata in una veraepidemia psicologica”, spiegaNardone. “Ormai circa il 15% per cento dei disturbi fobico-ossessivi e ansiosi – che con il loro 30% per cento rappresentano, come certificato anche dall’Oms, la più grande patologia del mondo – sono di tipo ipocondriaco. E non bisogna pensare che si tratti di una malattia meno grave, al contrariocrea somatizzazioni reali, abbassa le difese immunitarie e alla fine fa ammalare veramente”.
“Di ipocondriaci ci siamo sempre occupati”,dice Bartoletti,“ma ci siamo resi conto che non esisteva ancora una formalizzazione tecnica e insieme operativa, a fronte del fatto che i disturbi sono sempre più frequenti ma vengono spesso scambiati per disturbi d’ansia o fobico-ossessivi”.
Ma cos’è esattamente l’ipocondria? Si tratta, scrivono i due studiosi, di un timore esasperato ed intenso nei confronti delle malattie e della morte. Un disagio assolutamente reale in cui ciò che viene percepito è del tutto reale, non è fittizio o simulato, al di là del fatto che si possano riscontrare correlati organici e che ha conseguenze affettive, cognitive, comportamentali e infine anche fisiche.
“Più precisamente”,spiega Bartoletti,“l’ipocondria hatre facce.
- Il primo volto è l’ipocondria ‘classica’ che è mutevole e migratoria, per cui si passa da un sintomo all’altro e da una malattia all’altra, ad esempio vari tipi di tumori o malattie degenerative del sistema nervoso.
- Il secondo invece è la patofobia, un terrore delle malattie focalizzato su un oggetto molto definito. La forma più frequente di patofobia è la cardiofobia, l’ossessione sulle sensazioni cardiache e il timore di infarto, ictus, embolo etc.
- Nella terza forma la persona è ossessionata da alcuni sintomi o fastidi e questa focalizzazione porta a somatizzazioni di ogni tipo, come dolori intensi all’apparato digerente, diarrea etc”.
Se la famiglia favorisce l’ipocondria
Ma quali sono le cause di questa malattia? Secondo Nardone e Bartoletti, l’ipocondria ha cause multifattoriali, cioè diverse.
“Sicuramentec’è un fattore di tipo educativo e familiare. Esiste unclima educativo ipocondriaco, in cui la paura delle malattie viene trasmessa in famiglia: un terrore verso le malattia, un’ansia eccessiva verso la salute.Genitori ipocondriaci sono quelli che vestono i bambini con mille strati, oppure si mettono a letto al primo sintomo fisico, oritirano i bambini dalla scuola per due linee di febbre. In generaleun’e iperprotettiva, tra parentesiil modello familiare più diffuso in Italia, può portare allo sviluppo di percezioni ipocondriache“.
Il secondo fattore risiede nella perdita di fiducia nei confronti del proprio corpo, percepito come vulnerabile. Questo può accadere a seguito di un periodo negativo o anche di una malattia grave durante l’infanzia o l’adolescenza.
“Oppure, anche, perchénessuno ci ha insegnato a stare in contatto con le nostre percezioni corporee, che non vengono percepite come associate a emozioni, stress, stili di vita.Siamo cresciuti credendo che la salute si associ a un corpo ‘silente’ e ogni sensazione ci allarma“.
Il terzo fattore è simile al secondo, ma la percezione di vulnerabilità nasce sulla base di esperienze vissute da altri,una malattia di un parente o di un amico. Questa terza forma sta aumentando purtroppo in maniera esponenziale a causa anche della rilevanza mediatica di alcune notizie di cronaca, riportate in maniera sensazionalistica.
“Dopo la morte di Astori nei nostri studi sono arrivati tantissimi pazienti che pensavano di avere un arresto cardiaco”.
Infine una quarta causa nasce, anche se può apparire inverosimile, dalla comunicazione medico-paziente, che può ferire più del bisturi.
“Bastano un dubbio dello specialista, un’ipotesi diagnostica, un termine tecnico a scatenare reazioni ipocondriache. Purtroppo i medici non sono formati sul fronte comunicativo”.
Il web e l’effetto “cassa di risonanza”
Cosa fare, dunque, se si è affetti da una forma di ipocondriaca, cronica o ricorrente, di ipocondria? Il primo consiglio è quello di non andare sul web.
“I siti non solo non aiutano”,spiega Bartoletti,“ma hanno un vero e proprio effetto ‘cassa di risonanza’. Detto in sintesi, ‘chi cerca trova’. Quando io leggo preso dall’ansia e dal timore, con l’urgenza di rassicurarmi, finisco al contrario per percepire i sintomi che leggo. Non c’è dubbio:dottor Google alimenta esponenzialmente i timori di chi è connesso. Si parla addirittura di ‘cybercondria’, la ricerca ossessiva di informazioni e ipotesi diagnostiche che alimenta paura di malattia e morte”.
Ma non è solo il web il fronte da schivare. Secondo gli esperti,andrebbero evitati sia i continui controlli diagnostici sia, soprattutto, gli psicofarmaci.
“Insistere sull’indagine non solo amplifica la percezione del problema, ma dà luogo a risposte confusive, perché esiste una variabilità fisiologica delle misurazioni – oltre che dei pareri medici – che danno adito a esiti diversi, generando incertezza. Per quanto riguarda i farmaci, invece:dare ansiolitici e antidepressivi incide solo sui sintomi, sugli effetti, non sulla causa, mentre gli antipsicotici portano a un distacco dalla realtà.Non esistono farmaci per l’ipocondria.I cosiddetti farmaci ‘off label’, cioè quelli che vengono dati per i sintomi fisici – ad esempio betabloccanti o medicine per la pressione per una persona cardiofobica –interferiscono con il lavoro terapeutico, perché modificano o cancellano le sensazioni“.
Il check up ipocondriaco: il malato diventa medico
E allora, quale terapia? Secondo Giorgio Nardone, che ha anni di esperienza clinica alle spalle, la psicoterapia più efficace è quella breve-strategica,
“un trattamento che invece di passare attraverso la coscienza lavora constratagemmi terapeuticiche permettono di aggirare le resistenze al cambiamento. In pratica, prima si cambia, poi si spiega il cambiamento, a differenza delle terapie classiche”.
“Sì, l’obiettivo èristabilire un contatto diretto con il proprio corpo e le sue sensazioni”,aggiunge Bartoletti.“Ad esempio uno degli strumenti che utilizziamo è il check up ipocondriaco, una ricerca sintomatica e sensoriale che la persona dovrà fare su se stessa, mettendosi tre volte al giorno davanti allo specchio perstudiarsi, ascoltarsi, indagare, andare alla ricerca dei sintomida associare a potenziali patologie. Si tratta, in altre parole, di unaprescrizione volontariadi quello che l’ipocondriaco fa in maniera anarchica, e che lo inchioda al contatto con le sue sensazioni. Questo contatto forzatoparadossalmente produce una ristrutturazione delle percezioni della persona.Le sensazioni iniziano a essere familiari ed è interessante osservare che a mano a mano che si va avanti l’associazione dei sintomi è meno legata a patologie gravi e sempre di più a fattori comuni e funzionali, stress lavorativo, esperienze varie, attività fisica: insomma se nelle prime fasi un fastidio articolare poteva essere un principio di sclerosi multipla, dopo la persona l’assocerà al fatto di essere andata a correre,si riappropria anche del corretto rapporto causa-effetto”.
Per quanto riguarda il cuore, spiega Nardone, “si fa un monitoraggio esclusivo sull’organo, che il paziente deve monitorare dettagliatamente una volta all’ora a intervalli di un minuto, una sorta di Holter soggettivo”.Un controllo che, secondo i due studiosi,“ha un effetto normalizzante, si entra in contatto familiare con le percezioni del proprio organismo, quindi questo compito fa diventare il proprio cuore amico”.
Fa parte della terapia anche l’ingiunzione di interrompere la ricerca diagnostica, che però non vale se la persona non riesce a smettere di controllarsi.
“In quel caso”,dice Bartoletti,“facciamo il contrario, cioè la ricerca dei sintomi viene imposta in maniera sistematica e ritualizzata:il paziente deve studiare su internet, leggere file e libri, come uno studente di medicina, non come una persona in preda al panico”.
Altra tecnica per far defluire la paura e la lamentazione è la scrittura. Infine, c’è una serie di indicazioni che vengono date ai familiari che vivono accanto a un malato.
“Alla fine di questo percorso”, conclude Nardone, “si può fare un discorso concettuale, ovvero spiegare come alcune costruzioni mentali sianoerrori cognitivi.Ma solo quando il cambiamento è avvenuto. Infine vorrei ricordare che questo trattamento è un approccio terapeutico del tutto interculturale. Si applica con efficacia in Russia come in Messico o in Svezia. La paura ossessiva delle malattie e della morte è la stessa ovunque”.
Pubblicato s Business Insider 22 04 2018
Foto di Josh Sorenson
Foto di Andrew Neel