Spagnolo, danese, svizzero, ceco, austriaco. Nei figli della fecondazione eterologa fatta da coppie italiane scorre sangue straniero, con buona pace del nazionalismo. I motivi sono vari. Il primo ha a che fare col fatto che, nonostante questa pratica sia permessa dal 2014 e oggi persino inserita nei Lea (livelli essenziali di assistenza), le coppie italiane continuano a partire per l’estero. Lo fanno ancora in migliaia – 7.000 le coppie che hanno usufruito di ovodonazione nei centri spagnoli, anche dopo il 2014 – perché le liste d’attesa ancora lunghe, perché ci sono differenze inspiegabili tra le regioni, perché single e omosessuali non possono accedere. Quelli che non possono andare all’estero a volte ricorrono a pratiche fai da te, e comprano lo sperma sul web, come racconta un donatore anonimo che questo “lavoro” lo fa da dieci anni, tramite una pagina Facebook. “Continuo a ricevere richieste, come prima”, spiega. “Le donne non vogliono troppe mediazioni burocratiche, oppure sono single, o omosessuali. Chiedono soprattutto rapporti diretti, oppure sperma fornito in contenitore ed inserito con la siringa. Insomma è tutto più naturale, niente viaggi, niente attese, costi bassi, anche se ci tengo a precisare che io vendo sesso”.
Anche i bambini che nascono nei centri, però, hanno geni per metà (più raramente per intero, nel caso della doppia donazione) stranieri. Chi la fecondazione eterologa la fa in Italia, infatti, riceve quasi sempre un ovocita o sperma che arriva dall’estero. Il problema principale, che spiega anche anche la lentezza dei tempi per accedere all’eterologa, resta soprattutto uno: mancano drammaticamente i donatori di gameti, cioè sperma e soprattutto ovociti, italiani.
Sulla legislazione è utile fare un passo indietro. Per lunghi anni la fecondazione eterologa, quella che avviene cioè tramite la donazione di gameti esterni alla coppia, è stata vietata in Italia. La tristemente nota legge 40 del 2003, approvata dal governo Berlusconi e la sua maggioranza di centrodestra, proibiva questa pratica. Così come l’accesso alle tecniche a coppie fertili o portatrici di malattie genetiche o la diagnosi pre-impianto sull’embrione, mentre veniva introdotto l’obbligo di impiantare massimo tre embrioni e tutti insieme. Nel giro di dieci anni, i giudici di ogni ordine e grado hanno smontato una incostituzionale su più fronti. Caduto il divieto di accesso alle coppie non sterili o portatrici di malattie genetiche, così come quello della diagnosi pre-impianto, fondamentale per evitare di impiantare embrioni destinati ad ammalarsi e morire e in clamorosa contraddizione con la legge 194sull’aborto. Caduto anche l’obbligo dell’impianto di tutti gli embrioni fecondati, causa di tante gravidanze plurigemellari, caduto, appunto, anche lo stop alla fecondazione eterologa, anch’esso ritenuto incostituzionale.
Sperma e ovociti, quasi tutti dall’estero. Spagna primo paese
Il nostro Paese, dunque, compra all’estero quasi nella totalità dei casi, anche perché la pratica di egg sharing, ovvero la ovodonazione da parte di donne che si stanno sottoponendo alla propria fecondazione in vitro, non è diffusa, “da un lato perché le coppie preferiscono congelare i propri gameti ed embrioni per sé”, spiega Marta Baiocchi, biologa, ricercatrice e autrice di In Utero. La scienza e i nuovi modi di diventare madre (Sonzogno), “dall’altra perché la maggior parte delle donne che affrontano la fecondazione in vitro ha un’età ben superiore al tetto di 35 anni fissato dal Ministero per le donatrici. Sopra questa età, infatti, la qualità degli ovociti comincia rapidamente a peggiorare, quindi donarli non ha molto senso”.
I numeri relativi al 2016, contenuti nell’ultima Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40 del 2004, parlano chiaro. Dei 97.656 cicli di fecondazione (con tutti i tipi di tecniche) effettuate nei 360 centriattivi in Italia – di cui 112 pubblici, 22 privati convenzionati e 226 privati – 6.247 sono quelli iniziati con donazione di gameti, che hanno portato alla nascita di 1.457 bambini nel 2016 su un totale di 12.125 nati. Numeri piccoli solo in apparenza, perché la fecondazione eterologa è una pratica in crescita esponenziale – più 121% di coppie, +123% di cicli, +142% di nati – visto che è l’unica che viene effettuata nella maggioranza dei casi, non per specifiche patologie ma per l’età elevata della paziente (la media di età delle donne che accedono alla donazione di ovociti è di 41,4 anni, contro i 35,2 nel caso della donazione di seme).
Ebbene, per quanto riguarda le tecniche di procreazione assistita con donazione di seme (di tutti i livelli), su 6.247 cicli di trattamento si è utilizzato seme italiano in 241 casi, mentre per quanto riguarda gli ovociti solo in 174 casi si trattava di ovociti del centro, mentre i restanti 2.727 erano importati. Anche 1.500 embrioni su 1.735 di quelli conservati sono stati formati con gameti provenienti da banca estera. In sintesi, nell’84,4% dei casi il liquido seminale è importato (da Spagna, Danimarca e Svizzera), mentre nel 94% dei casi ovociti sono importati dalla Spagna. Gli embrioni già fecondati provengono invece da Spagna, Repubblica Ceca, Austria. Per contro, le nostre esportazioni verso altri paesi hanno numeri risibili.
Pagare le donatrici? Gli esperti dicono sì
La maggior parte degli esperti non ha dubbi: il problema è nei i mancati rimborsi alle donatrici, visto che la circolare del Ministero che ha stabilito le modalità di applicazione della fecondazione eterologa ha deciso che la donazione debba essere gratuita e ogni forma di rimborso illegale. In molti paesi esteri, invece, è previsto un rimborso di 2-300 euro per lo sperma, mentre per gli ovociti – per il cui prelievo occorrono, secondo il New England Medical Journal, 56 ore di tempo – si va dalle 750 sterline inglesi ai 900 euro in Spagna, ai 627 del Portogallo e circa 600 in Francia. “È come se fosse disponibile un’auto, ma senza benzina”, ha detto nello scorso aprile Gianni Baldini, docente di Biodiritto all’Università di Firenze e direttore della Fondazione Pma Italia. “Il fatto che non siano consentiti rimborso dei costi, delle spese e la copertura per l’assenza dal lavoro rende obbligatoria l’acquisizione di gameti da banche straniere a prezzi rilevanti, alimentando le liste di attesa”. Stesso allarme è stato lanciato dal gruppo di lavoro incaricato dalla Conferenza Stato Regioni di seguire in Italia l’applicazione della legge sulla fecondazione assistita, che si è riunito il dicembre scorso. Secondo il coordinatore del gruppo Carlo Foresta, andrologo dell’università di Padova, se non si trova una soluzione “le coppie italiane saranno sempre svantaggiate” perché dovranno importare dall’estero gameti, soprattutto ovociti, la cui qualità “non è sempre garantita e rischia di essere compromessa dal trasporto”. E proprio a questo proposito, la Società Italia di Riproduzione Umana (SIRU) ha lanciato il progetto ACQuOS (Audit Control Qualità Oocyte and Spermatozoa), per una valutazione indipendente dei gameti importati in Italia dalle banche estere nell’ambito della fecondazione eterologa, che prevede tra gli altri aspetti il controllo delle procedure di selezione dei donatori e i criteri di stoccaggio e modalità del trasporto di gameti ed embrioni.
Manca una cultura della donazione
Altri studiosi, tuttavia, mettono in luce altri aspetti. “La donazione femminile è più complessa di quella maschile, è vero. Credo tuttavia che, oltre al tema del rimborso, ci sia quello di una scarsa cultura della donazione”, spiega Marco Filicori, presidente di CECOSItalia (Centres d’Études et de Conservation des Œufs et du Sperme), che proprio al tema della fecondazione eterologa ha dedicato il Congresso Nazionale 2019 (Torniamo alle nostre origini). Filicori sottolinea poi un altro aspetto ignorato dai giovani uomini e donne italiani, cioè il fatto che ai donatori vengono fatte gratuitamente tutta una serie di utili indagini ai fini di valutarne la fertilità. “Gli uomini possono venire a sapere che ci sono problemi nella produzione di spermatozoi, mentre le donne possono scoprire di avere pochi follicoli, con conseguente rischio di andare in menopausa precoce. Inoltre va ricordato che la donazione di ovociti non preclude la fertilità della donna, ovvero non c’è alcuna diminuzione o abbattimento della riserva ovarica, cioè il numero di follicoli e degli ovociti in essa contenuti. In qualche modo è simile alla donazione di sangue”. È in parte d’accordo Marta Baiocchi: “Oltre al mancato adeguamento organizzativo delle strutture pubbliche, l’altro grande problema è la scarsità o assenza di donazioni interne, da imputare alla mancanza di informazione. Ad esempio, in Italia i rischi di iperstimolazione oggi sono praticamente azzerati”.
Nessuna controindicazione, dunque, nella donazione di ovociti? “Per quanto riguarda i possibili effetti negativi a lungo termine, per esempio sterilità e tumori, gli studi esistenti non indicano un aumento del rischio in seguito a stimolazioni ovariche ripetute. D’altra parte, questi studi non sono ad oggi considerati definitivi, perché raccolgono numeri relativamente limitati di donne, e analizzano periodi relativamente brevi. Questo significa che, mentre si possono escludere fenomeni di ampie dimensioni, effetti piccoli potrebbero ancora sfuggire ai conti: si continuano quindi ad accumulare dati e informazioni un po’ in tutto il mondo. In via cautelativa, le società mediche raccomandano in ogni caso di non sottoporsi a più di sei cicli di stimolazione ovarica nell’arco della propria vita”.
Ilfattoquotidiano.it, 30 marzo 2019
Foto di Retha Ferguson