C’è l’albero di coppia, quello per l’intera famiglia e pure quello da dividere col gatto o il cane. Ma c’è pure l’albero personale, “per chi ama un contatto diretto con la natura” e quello di comunità, per chi invece, magari più squattrinato, preferisce “condividere i propri ideali con gli altri”. Sono le tante formule offerte da una piccola, emergente, start up, “Boschi Vivi”, che – anche sull’onda del nuovo ambientalismo da riscaldamento globale – propone un’alternativa al cimitero tradizionale: l’interramento delle proprie ceneri in un bosco, ai piedi di un albero scelto in vita. L’idea per ora è limitata al bosco dell’Alta Valle dell’Orba, nel comune di Urbe ma i quattro ragazzi che l’hanno comprato per 36.000 euro guardano con attenzione all’estero. Dove ormai la morte sostenibile è una tendenza, aiutata anche da leggi che permettono di inumare il corpo sia senza bara (vietato da noi) oppure con un’ecobara biodegradabile, di carta riciclata, bambù, canna, feltro di lana o legno non lavorato. Il trend è talmente in crescita che in Inghilterra è nata addirittura un’associazione, la Association of Green Funeral Directors, che premia le imprese funebri virtuose dal punto di vista ambientale.
Che il cimitero monumentale classico, con i suoi tetri loculi, stia diventando stretto a molti lo dimostrano i numeri delle cremazioni (in Inghilterra siamo ormai al 70 per cento, in Italia al 17, in crescita costante). Non solo piace sempre meno il fatto di lasciare il proprio caro in un posto freddo e anonimo, così come anche l’idea di abbattere alberi secolari per una costosa bara coperta da corone di fiori morti; ma c’è anche la ricerca di una, seppure flebile, forma di immortalità. Archiviata, per molti, la cattolica risurrezione della carne, si punta sull’idea che il nostro corpo possa piuttosto trasformarsi. Magari, appunto, in una pianta e in un albero. E su questo messaggio fanno leva, infatti, le aziende che sempre più, anche in Italia, producono eco-urne biodegradabili. C’è l’urna in legno “Rinascita”, che promette di “trasformare letteralmente il parente estinto in una altro essere vivente”, e quella “Bios”, venduta con i semi della pianta preferita e il terreno e che può essere, grazie a sensori, monitorata tramite app. E c’è, tra le più suggestive, l’urna Capsula Mundi, in plastica biodegradabile e a forma di uovo, che va interrata ai piedi di un albero da piantare al momento. Creata da due designer, Anna Citelli e Raoul Bretzel, ha una variante più grande per il corpo non cremato (opzione più ecologica, perché a voler essere pignoli la cremazione produce calore e Co2), da comporre in posizione fetale proprio a simboleggiare la rinascita.
Nel paese in cui i morti superano i nati (650.000 nel 2017), la morte green, dalla bara di cartone magari trainata a pedali ai nuovi boschi mistici, sarà presto un reale business, che potrebbe dar fastidio a qualcuno. Il che, unito alla scarsa propensione italica alla manutenzione dei boschi, solleva seri dubbi sulla protezione del caro estinto, a rischio di ulteriore disintegrazione per incendi magari dolosi o alluvioni. Forse, però, il problema è un altro: è vero, il pacchetto eco-bara più nuovo albero piantato è un circolo ecologicamente perfetto. Ma passare dal Paradiso al diventare alberi – “Ti voglio bene, nonna!” recita la didascalia a un’immagine sul sito di Capsula Mundi in cui due braccia circondano un tronco – richiede un certo cambiamento culturale, e religioso, anche in vita, fosse anche per scegliere se diventare acero o sequoia. Per dirla con una battuta del designer e artigiano William Warren, che ha inventato una libreria che si trasforma in bara, “siamo sicuri di avere uno stile di vita adatto a diventare un buon compost?”.
Aprile 2019, Il fatto quotidiano