Piccolo vocabolario etico perché tutto tutto ciò che è successo non riaccada
TRENO
Ci siamo vergognati mille e mille volte, per quella paura di volare. Abbiamo usato psicofarmaci, siamo andati da specialisti, abbiamo letto consigli ovunque. Molti l’hanno vinta, e quella vittoria è stata certamente importante: la sconfitta della paura, la restituzione del piacere della libertà di muoversi, di raggiungere posti resi vicinissimi dalle tecnologie ma visitabili concretamente solo con un mezzo straordinario, l’aereo. Ricordo quando anche io, a tratti, dimenticavo quel terrore. Improvvisamente, un senso incredibile di potenza, nel senso della possibilità, del poter fare e vivere.
D’altronde le statistiche rassicuravano: è il mezzo più sicuro, ci si schianta con la macchina, morire è impossibile. Ci siamo così abituati a quei riti, l’arrivo in aeroporto, la fila al check in, i controlli, il gate e poi allacciarsi le cinture come in macchina, viverlo come un taxi, un autobus, nulla di diverso.
Eppure, forse, in quella paura c’era un segnale da non sottovalutare: un suggerimento sottile, che sembrava dire che forse quel mezzo non era per la nostra specie. E no, non perché, ogni tanto qualche aereo cade. Il pericolo era altrove e non l’abbiamo visto, convinti come eravamo di stare facendo bene, a vincere quella maledetta, irrazionale, paura. Solo due anni fa il portale FlightAware spiegava che nel mondo c’erano in media e in qualsiasi momento quasi 10.000 aerei in volo per un totale di quasi 1.300.000 persone. 200.000 mila voli ogni giorno, un decollo ogni mezzo secondo. Quanti di quei voli erano necessari? Il 20%? il 30%?
Il danno che ci siamo inflitti è doppio: quasi il 4% delle emissioni prodotte deriva dagli aerei, certo meno della strada, ma con una crescita costante del 128,9%. Ma le conseguenze sono anche altre e più gravi: ovvero la percezione psicologica del mondo come uno spazio simile alla nostra casa, uno spazio quasi privato, una sorta di possesso, comunque qualcosa da calpestare a proprio piacimento.
Abbiamo accettato la possibilità che un corpo possa spostarsi in poche ore di migliaia di chilometri, e per stare fermo pochi giorni e poi ripartire. Ci sono tratte, come Londra-New York, che alcune persone, come ad esempio imprenditori, solcavano anche più volte la settimana, come se l’oceano fosse una città da attraversare. L’oceano!
L’aereo non ci ha resi cittadini del mondo, ci ha resi sfruttatori del mondo a piacimento, turisti senza coscienza, lavoratori convinti che l’unica cosa importante fosse risparmiare tempo, e non preservare il mondo che al tempo è legato, perché non c’è tempo se non c’è anche un mondo sicuro dove poterlo spendere. D’altronde, alcuni studi, ignorati, l’avevano segnalato: i cambiamenti climatici fanno impennare le turbolenze. Di tanto, tantissimo, specialmente quelle medie e violente. Non li abbiamo voluti vedere, non li abbiamo voluti leggere. Eppure.
E dunque il treno ci salverà? Gli elogi retorici del treno sono stati tanti, e forse troppi. In verità non è il treno salvarci, ma rendere lo spostamento fisico il più possibile reale, corporeo, attaccato al terreno. Non ci salva il treno ma il recupero del corpo, della dimensione spazio-temporale che alla nostra specie era stata assegnata, perchè nati con le ali non siamo.
Ma il treno dimostra certamente una cosa: che la decrescita non solo può non essere infelice, anzi. Può essere comoda, può alleviare le nostre nevrosi che nascono dai tempi accorciati e dal non rispetto del corpo, può essere dunque gratificante, fatta di un paesaggio che scorre mententi siamo comodi a guardarlo, dotati di strumenti digitali, connessioni, caffè.
L’aereo scomparirà? Per niente. Ma andrebbe riservato per i giorni di vera necessità o vera festa. Scelto come un regalo prezioso. Aspettato come un momento emozionante, ma raro. Le istituzioni, se avranno imparato la lezione del virus, dovranno fare la loro parte, con leggi che impongano di non utilizzare l’aereo quando non necessario e aiuti per chi utilizza i binari, soprattutto per le famiglie.
Sulle nostre teste, dovranno volare pochi aerei. Quelli che portano beni di emergenza, quelli dove si sposta chi proprio non può lavorare altrimenti, quelli di chi ha deciso, una volta l’anno, ma anche ogni due, di visitare un paese irraggiungibile altrimenti. Senza mettere le bandierine sul globo, che tanto ricordano i conquistatori.
E forse spariranno anche ansia e attacchi di panico. Reso più umano, riavvicinato al nostro ritmo, anche l’aereo farà meno paura a chi oggi ne ha paura.
#rallentare #unaltroritmo
(29 marzo 2020).